Lei è in vita. Io no. Lei ama esternare, condividere,
ridere, emozionarsi, provare, comunicare, conoscere, intraprendere, andare un
po’ più in là per vedere cosa succede. Io ritaglio stasi, punti di
osservazione, scavo rifugi, guardo non visto passanti e personaggi di fantasia,
moderno Soares non acclamato. Per un esercizio estetico che implode e si
esaurisce in se stesso, un orgasmo controllato con i guanti, che scorre sensi e
intelletto.
Ma allora perché camminiamo sulla stessa strada, stesso
marciapiede, stessa direzione, stessa andatura uno di fianco all’altro? E
parliamo, ridi e ti appoggi al mio braccio. Pensa, sorrido anch’io. 2006. Uno,
due, tre... sette anni. Probabilmente a luglio, seconda decade. Dopo non so
quanti anni è stato il giorno in cui una donna mi ha abbracciato e io mi sono ritratto,
ma non sono riuscito a evitarla. L’ho sentita su di me. Ho avvertito le braccia
che mi cingevano, il volto sul mio petto, respiro, occhi spenti e capelli che
scivolavano lentamente sulla mia pelle.
Apprezzo
il tuo coraggio d’essere, sei la copia del mio immaginario ideale, se solo non
fossi così contenuto, con emozioni involute e ritratte. Ho passato gli ultimi
giorni a pensare ai nostri passi sovrapposti. Passi senza scarpe e con piedi
nascosti, perché per tutti e due (ma per motivi diversi) i piedi rendono
vulnerabili. Porta d’accesso discreta sull’animo degli estranei. Non gli occhi,
non i gesti, ma i piedi. Poi, per carità, dopo un’ora le nostre impronte non
erano più sovrapposte e già prendevano strade diverse.Citazione del mese:
"Mi domando come facciano le coppie che devono convivere giorno dopo giorno. Non hanno intervalli in cui recuperare lo stupore per il corpo dell’altro" (Nirmal Verma, Weekend)
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