C’erano una volta Giovanni da Pian del Carpine, Ibn Battuta, Zheng He, Niccolò da Conti, Ferdinando Magellano, Richard F. Burton, Sven Hedin e tanti altri.
Questa volta invece c’è Jamal. Anzi, c’è Jamal e c’era
Enayatullah.
Un viaggio al contrario, non per esplorare ma per implorare
una vita a Londra. I giochini americani dalle parti del petrolio vanno avanti
da più di mezzo secolo. Gli aerei si sono schiantati da meno di un anno e i
rifugiati afghani affollano i campi pakistani di Peshawar. Iran. Turchia.
Italia. Francia. Gran Bretagna. Il traffico umano si riflette in un giro di
soldi fatto di truffe e stenti, fino a perderci la vita. Perché un essere umano
deve scegliere tutto questo. Perché non può semplicemente cercare di strappare
alla sua terra una lurida esistenza, fatta di senso del vivere e di attesa
della morte.
Le distanze sono incolmabili. Per quanto potrà mai provarci,
uno che sguazza nella società dei consumi non saprà mai chi è un profugo. Non
ne capirà mai niente, perché mentre è lì in un pub di San Lorenzo a scolarsi
birre e bottiglie di vino con lo stipendio che non ha, il clandestino è coperto
di luci in testa come un pagliaccio travestito a lutto. Non consuma.
Lampadine, grattaschiena, allarmi e aeroplanini come un albero di natale con le
gambe, per fare qualche chilometro in più e arrivare dove? Più lontano del pub
sotto casa, perché guarda alla vita da un’altra angolatura, quella di chi nasce
nelle privazioni, dall’altra parte della sera.
Canzoni (+video) del mese:
Riccardo Sinigallia: Solo per te
Spiral 69, Love is for losers
Tiromancino, Blu
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