mercoledì 26 ottobre 2011

Tra le bombe e i film

Tra le bombe e i film è caduta acqua dal cielo, tanta da scorrere come fiume inarrestato, da insinuarsi nelle crepe delle stazioni metro.
Traffico bloccato, linee bloccate. Sul sonno non speso.
Scarpe di pelle intrise, persone che si fanno calca irriguardosa. Ho sentito impotenza nell’impossibilità di spostamento, nell’attesa costretta a scapito di impegni. Ho fumato, fumato ancora e riacceso una sigaretta prima di muovere nella direzione di Testaccio.
Proteggimi dalle tua sopracciglia e dai manganelli.
Proteggimi dagli sguardi spogliati lasciati alla deriva dalla condivisione; dall’esposizione, dai ritorni su notturni affollati e addormentati, che costringono al silenzio le urla dell'animo. Proteggimi dagli amori, proteggimi dalla perdita del controllo.
Le strade erano piene, “aria di festa” avrebbe detto chi era lì. “Questo è il vostro modo di fare politica”, sorride Aamir Bashir, India, davanti a una foto con gente che ride, canta e balla in girotondo durante i disordini di Roma. Rivolta, avrebbero provato a fare credere i media di massa. Macchine bruciate, vetri infranti, uomini mascherati, assalti alle camionette, elicotteri bassi. La società ha dimensioni diverse, non comunicanti. Noi eravamo lì, nella bolla di vetro del cinema. Sigillata dall’esterno, con un pubblico ben vestito e con un tono di voce pacato, a chiedersi se è meglio vedere un documentario sui bambini che praticano boxe in Thailandia o la storia di censura di un regista iraniano condannato a un anno di carcere appena un’ora prima di prendere un volo per l’Italia. Se lo sarebbero chiesto con sguardo lontano, estraneo da quella realtà. Lo avrebbero chiesto da una platea, davanti a uno schermo.
Pochi giorni prima avevo corso. Molto, con fiato corto. Per arrivare per tempo in una copisteria prima della chiusura e foocopiare centinaia di fogli. Me lo aveva chiesto con insistenza Kim Ji-young, regista coreana andata in Giappone per dimostrare la battaglia di un candidato indipendente in corsa per le elezioni di una cittadina vittima di speculatori in collusione con la politica. “Una storia di Don Chischotte de la Mancha”, avrebbe detto nel corso del dibattito a seguire la proiezione. Ho fatto in tempo a copiare le duecento copie che ni aveva chiesto e che a me sembravano di importanza insignificante. Per ringraziarmi ha premuto perché prendessi una copia del suo dvd e le scrivessi le mie impressioni dopo averlo visto. Ho creduto di intuirne le motivazioni.
È stato il primo impatto d’amore con Asiatica, dal di dentro, e i giorni a seguire li avrei amati, pur non amando il contatto con la gente. Non ero lì per soldi ma per uno strascico di ideali lontani dalla vita vera. Un’isola che in termini sociali concreti è fatta di sfruttatamento malpagato e privo di riconoscimenti, ma pur sempre un’isola. Dove potere toccare uomini venuti da terre e percorsi lontani e nutrire, lasciare intendere sentimenti condivisi. E allora tenetevelo il vostro cazzo di giro infinito di soldi e finché bastano a vivere lasciatemi le emozioni. E sti cazzi se ci mangiate sopra, se vi ci incazzate e se ci fate pace, se avete o non avete i soldi, perché tanto parleremo sempre due lingue diverse senza voglia di ascoltarsi.
Ero in una vasca.
Amavo immergere lentamente la testa, dapprima i capelli, poi le orecchie, la bocca, gli occhi e il naso. Amavo il passaggio dalla percezione all’assenza dei sensi. Avevo quindici o sedici anni.
All’uscita del Macro ho creduto di estrarre la testa dalla vasca, e capire che in strada è possibile ancora lottare e sperare nel popolo, ritrovarsi in un malcontento che non appartiene e riprendere ugualmente a sognare qualcosa di meno disgustoso.
Kim Tae-yong, sempre dalla Corea. Racconta storie d’amore non pronunciate, di tardo autunno, in città spoglie, con attori che celano emozioni. Non sa perché lo fa, del resto per lui è molto difficile scrivere una sceneggiatura. È una storia da raccontare e così è uscita fuori. Tang Wei, attrice dalla Cina. Bellissima senza essere primadonna. Una ragazza che sa guardare e capire le persone. Non ama lo star-system e immagina con fare seduttivo un futuro da aiuto regista. Sono legati al mare e alla pesca, conoscono le difficoltà dei propri nonni e dei genitori, sanno che la storia di ognuno potrebbe essere un film.
Forse non sarei essere dovuto essere lì, per il dovere di credere in qualcosa di diverso e lottare per questo. Forse ero nel posto giusto, perché chi dissente è poco propositivo, mentre la cultura e l’amore sono rivoluzione, mentre il cinema coglie le coscienze della gente e sa essere protesta.
Wang Xiaoshuai, Cina, ho scelto di assecondarlo per poterlo ascoltare. Non nasconde disappunto e trasmette concetti reiterati a qualunque tipo di pubblico. Si difende, difende il suo cinema. Legato all’idea-immagine di cinema indipendente. Legato alla storia e all’arte. Lin Yu-hsien, Taiwan, è elegante con i suoi modi impacciatamente e onestamente curiosi. Verso il pubblico e verso l’esterno, ma con la coscienza delle sue origini. L’unico regista a portare dei regali per il pubblico.
Per un attimo ho avuto paura. Di non vedere mia moglie arrivare. Non era una paura realistica, ma da dentro la bolla di vetro non avevo notizie se non frammenti di allarmismo. E il ritardo si aggiungeva allo scorrere del tempo, alla città blindata e alle attese non corrisposte.
Quando ho accompagnato Mark Lee in sala ho sentito un clamore inpensato, il poeta delle luci e delle ombre, che con la fotografia riesce a dare forma alle idee dei registi ha colto nel segno ed è stato acclamato, abbracciato dal pubblico.
Daniele, Tommaso, Asia, Chiara toscana, Mahtab, Anna, Ciro, Italo, Marco, Andrea, Alessandro Vecchi, Serena, Mara Valeria, Chiara, Rossano, Paolo, Martina, Alessandro Papa. Vi ho sentiti tutti vicino, in dosi diverse, ma tutti presenti.

Canzone del mese:
Armando Trovajoli, Tema di Giuditta