martedì 26 febbraio 2013

Sul voto

Non credo che il voto sia di per sé lo strumento di governo democratico più efficace a disposizione della popolazione, anzi mi sembra somigli più a un pericolo per la democrazia. Su cui arrovellarsi per esercitare il diritto al nulla. Sembra mangime per piccioni, molto più attiva la partecipazione sociale, o almeno io la vedo così.
La crisi, il grillismo, i discorsi sulla casta, il ritorno di Berlusconi, il decadimento della sinistra... tutti questi fattori mi hanno restituito slancio e 'senso di responsabilità' che in linea di principio -vista la premessa- non avrei dovuto provare prima delle elezioni. Magari di mezzo c'è anche la mia vita da semi disoccupato che mi lascia tempo se non altro per leggere di più. Probabile. E anche il fatto che sono le prime elezioni dopo anni che mi faccio in Italia, da italiano, per quanto potrò mai sentirmi italiano.
Comunque non mi sembra di averle dominate queste elezioni, resto ancora confuso di fronte alle parole propinate, non domino idee ben precise e rimango indietro. Ad esempio, mi piacerebbe capire una volta per tutte di cosa ci ha privato questa sinistra per essere così nulla da non esistere più. Voti alla mano, a prescindere da me. O sapere col senno di poi che fenomeno sia stato e sia ancora -per quanto strascicante- il berlusconismo. Avere quella chiarezza di vedute data dalla distanza. Lontano dai pro e dai contro urlati su carta stampata o nello schermo.
E la comunicazione. Che arma è la comunicazione e perché la gente più onesta spesso non sa comunicare o non riesce a far pervenire la propria comunicazione.
Poi il Movimento, capace di catalizzare le illusioni di tutti. Ma è davvero così "comunicativa" la Casaleggio e associati, o molto ce l'ha messo il contesto? E chi sono quelli del movimento, al di là del blog, dei gruppi di studio per i programmi, dell'incompetenza politica che travisa la purezza incontaminata, della democrazia che rifiuta chi non cade nella rete?
Anche se ero meglio disposto verso queste elezioni, devo rassegnarmi e riconoscere di essere rimasto troppo indietro per potere dare un voto di coscienza piena.
Una cosa che mi rimane è il commento di un utente alla riflessione sul significato di destra e sinistra fatta dal Wu Ming. Il tutto era finalizzato per tastare il grado di fascismo della compagnia grillina. L'utente in questione, tale VecioBaeordo, interviene per rispondere a un elettore del movimento che riconosceva a Grillo di aver interpretato l'alterità della classe politica dalla gente, prendendosi poi il merito -e il rischio- di avvicinare migliaglia di cittadini alla gestione della cosa pubblica. Il buon VecioBeardo conclude il suo commento con una frase per cui lo ringrazio, anche se non so chi sia. Almeno mi ha lasciato qualcosa di duraturo in queste elezioni per me così sfuggenti. Scrive:
«Dov’è la truffa? Nella parola “loro”.
E’ vero che c’è una frontiera, un di qui e un di là, e che la frontiera per il fatto di esistere produce uno o più “loro” da ognuna delle parti. La nostra parte animale funziona così, riflesso automatico. Ma sono convinto che ogni volta che mettiamo nel mirino qualche tipo di “loro” siamo in qualche modo fascisti a nostra insaputa, perché smettiamo di cercare un modo e cominciamo a cercare un colpevole. E così facendo, noi diventiamo colpevoli come “loro”, e i problemi restano dove sono».

Canzoni del mese:
Renzo Rubino, Il postino (amami uomo)
Ilaria Purceddu, In equilibrio

p.s. eh sì, anch'io ho visto sanremo, ma come succede in politica anche lì i miei non vincono mai.

venerdì 15 febbraio 2013

Lisbona - Porto

L'età della transizione - X tappa


Arrivati l’abbiamo fatto in silenzio. Silenzio senza strusciare ante ciabatte stanza a quattro piazze su una piastrella (blu su sfondo bianco di pescatori preti contadini artigiani) niente più. Qui. Niente condensa. Serrande abbassate. Sabato pomeriggio. Spazio intorno aria da respirare. Per strada. Costruzioni arroccate dal fiume in su. A tinte pastello. Glorie squassate di re e navigatori, neoclassici barocchi diroccati e vetri a pezzi. In bianco e nero. Dammi un’altra pasticceria, ridammi i tram scoscesi dell’Alfama e il pesce, dammi il pesce, un tinto e passo cadenzato al sole che accieca. Resta. Nei silenzi di Belem. Nel fondo vuoto dell’oceano a frantumare patimento, colpo su colpo sui moli di Boavista. Nel canto di chitarra che non è pena e non è gioia colmo ricolmo di sentimento consegnato al bello. Del silenzio fra me e te, soli in due, due anni e colpi di tosse. A rompere il silenzio e a sentirlo ricominciare laggiù, lungo il fiume e in prossimità del mare.

José Fialho Gouveia, Volta a dar.

venerdì 1 febbraio 2013

Il mio nome era Marlene

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Chissà quanti di loro ho già incrociato sui campi di battaglia. Con quanti di loro mi sono scontrato forse dieci anni fa, spalla contro spalla o ventre al cielo. A correr dietro a foghe passionali. Nell’impeto dell’autoriconoscimento in un gruppo, che parlava di sentimenti con una sola lingua, eccola lì, forbita e alt(è)ra: divine e cervelli bruciati con il vocabolario in mano. “Esisziale secco e disumano scarto di secondo che vale tanto quanto una vita”. Forse il primo verso che ho imparato a sbiascicare, aggrottato sulla mia sedia. Di sera. Mentre gli altri erano davanti alla televisione. Mentre io battevo a macchina e mi sentivo un poeta. Pensando alla beatrice di turno.
Chissà come sono cambiati in tutti questi anni. Quando andavamo ai concerti non facevo caso a loro, si sa, il palco è il palco. Forse oggi non li avrei riconosciuti lo stesso. Eppure ce n’erano tanti tra i trenta e i quaranta, tutti più tranquilli dei ventenni con cui sfogavo le mie pene tanti anni fa. D’altronde anch’io questa volta ho ascoltato in disparte, avviluppato in me stesso, lasciando la platea a chi ha passioni più fresche.
Loro no. Loro tre non sono cambiati. Con un basso in meno. Sempre dignitosi. Algidi. Viscerali. In bilico tra poesia e strada. Mi hanno sciorinato molte delle mie aspettative che non osavo aspettarmi. Mi hanno riportato a galla immagini del passato a cui non pensavo più. È strano, il passato, a volte è solo un pensiero su cui mi concentro ogni tanto per dimostrarmi di avere conservato tutto, senza avere buttato niente. E poi basta un niente, una canzone che sentivo tanti anni fa che me lo ripropone sotto forma di immagini vere. Vissute. Altro che pensieri e teorie. È stato un continuo: api regine, sollievi, comete, naufragi, ineluttabilità, bellezze... Cara è la fine, è davvero la fine. Mia. Con i tuoi versi lascio sognare qualcun’altro, io al mio turno mi sono logorato l’animo a forza di innamorarmi.
Il suo nome è Marlene, in onore a Marlene Dietrich e della figa di qualcun altra –non so chi, e i primi amori non si dimenticano mai. Tutt’al più non ci pensi per un po’.
Come relitto in fondo al suo incanto, affogherò in lei perdutamente.
Perdutamente.
Perdutamente.

Canzoni del mese:

Santo&Johnny, Papillon
Jack White, Love is blindness (cover U2, ovvero: come rendere una canzone qualsiasi una canzone vera. E non mi piace neanche Jack White.)
Lube, Позови меня тихо по имени
Lube, Конь
Benedetto Marcello, Adagio del concerto per oboe (e, credetemi, non c’è finale migliore per la storia di questo mese)