martedì 31 luglio 2012

"Luglio suona bene" - Parte II


Cronache dalla cavea, dal laghetto di Villa Ada e dal Circolo degli artisti. Beethoven, Madredeus e Will Oldham più band, tutto in una settimana. Musica e cultura sono tornati nella mia vita, vissute in modo un po’ troppo solitario, ma è pur sempre un punto di ri-partenza.

Del Portogallo non ho mai saputo granché: Lisbona me la immagino lenta e indolente, ma intellettualmente impegnata. Con porto, calli, caffè un po’ malinconici e gente che guarda agli spazi sterminati degli oceani. Fotografia ben precisa, che ritorna ostinatamente, ma difficile da mettere a fuoco, forse perché in realtà non ci sono mai stato. Mi chiedo anche se il mio Portogallo abbia qualcosa a che vedere con la città vera. Ho letto Saramago, leggo Tabucchi, leggerò Pessoa e forse un giorno anche Pires e Antunes. Penso i grandi navigatori dei secoli andati, ho un’idea vaga della spigolosità di Amália Rodrigues e non sto troppo a pensare se non ho mai visto un film di de Oliveira. Forse a darmi quell’immagine di mare e caffè, intelletto e nostalgia sono i Madredeus. O Paraiso anni fa mi ha squarciato, ha soppiantato Lezioni di Piano di Nyman nei miei momenti di studio, ricerca, di lettura e di profondità condivise. A seguire mi sono procurato Faluas do Tejo e Ainda, creando un contatto con il fado più sul piano della percezione che su quello della ricerca e dello studio. Forse perché sin dal primo ascolto è stato come mare a permeare spiaggia, con così tanta naturalezza da farmelo sentire come fosse stato sempre mio. Forse perché ha accompagnato i momenti in cui mi innamoravo della ragazza che avrei infine sposato. Non mi sono neanche poi interessato granché a come sia cambiata negli anni la formazione, ho scoperto da poco che Teresa Salgueiro ha lasciato il posto a Beatriz Nunez e che le formazione originale è pressoché scomparsa. Si legge di una musica che negli anni ha preso le distanze dal fado per votarsi alla contemporaneità, ma chi li conosce a modo mio non fa caso a queste analisi approfondite, volte a spogliare e decodificare. Sì, saranno pure cambiati nel tempo ma le sensazioni che provo ascoltandoli sono un porto sicuro e caldo. Prima di vederli dal vivo ero davvero emozionato. Nota intonata: l’unione di voce e chitarra con attorno alberi e lago di sera a creare una simbiosi distaccata dalla realtà. Nota stonata: una lieve abbondanza di violini (ma sempre magistralmente suonati) e alcuni suoni staccati dalla tradizione. Ma erano pur sempre i Madredeus e tanto l’animo quanto l’intelletto sono stati colmati.

domenica 29 luglio 2012

"Luglio suona bene" - Parte I


Cronache dalla cavea, dal laghetto di Villa Ada e dal Circolo degli artisti. Beethoven, Madredeus e Will Oldham più band, tutto in una settimana. Musica e cultura sono tornati nella mia vita, vissute in modo un po’ troppo solitario, ma è pur sempre un punto di ri-partenza.


Musica classica. Ho sempre pensato di non avere l’orecchio abituato per godere della musica classica. Ci ho provato poco nella vita finora, ricordo come abbia tentato di avvicinarmici intorno ai 16 anni o giù di lì. Non è mai stato un problema di fascino e di ascendenze. Le sinfonie mi hanno sempre incuriosito anche da bambino, quando ne ascoltavo il volume spropositato straripare dalle pareti dello studio paterno e restavo a contemplarne l’inaccessibilità a discapito delle esplosioni orchestrali. Epica solenne, interiorità, alone di mistero. Mi incuriosiva la musica classica, anche per la strana –e tanto, quanta umana- commistione di regole e passione. A provare a capirla ci provai per la prima volta in età da liceo. Era un periodo strano, di amori tormentati e passioni sfrenate. Il mio approccio fu analitico: estrapolavo dai 33giri ogni passaggio di una musica sinfonica, dandogli un titolo che ne coglieva aria e atmosfere, e registrando ogni variazione e ripresa, i crescendo e le pause, la quiete e l’orchestra. Erano anche gli anni in cui mi commuovevo sentendo i frammenti delle opere più conosciute: Ridi pagliaccio sul tuo amore infranto, ridi del duol che t’avvelena il cor... Vesti la giubba, la tragicità di questo passaggio mi inchiodava alla dignità della sofferenza; Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà... Nessun dorma, un inno alla delicatezza unita all’estasi più pura del suono. Così, aveo scelto di confrontarmi anche con le sinfonie. Presi un po’ a caso tra i tanti: Borodin, Tchaikovsky e Wagner (lui sì, volevo farmelo piacere a tutti i costi) e mi misi a catalogare con spirito analitico ogni frammento delle loro opere per provare a memorizzarne le evoluzioni e rintracciare le radici delle esplosioni strumentali. Fu un tentativo razionale che non portò a molto, ma lo accompagnai con una lettura emotiva, non avendo gli strumenti per cogliere tecniche e contesti storico-culturali. Una quindicina di anni dopo non è cambiato molto. Mi ha fatto effetto vedere per la prima volta dal vivo un’orchestra suonare, abbinarla al volo dei gabbiani o a quello degli aerei diretti chissà dove in un cielo volto al crepuscolo. Mi ha toccato, molto, a tratti, ma a volte ero totalmente assente, distaccato da ciò che avveniva sul palco e ho avuto l’impressione, proprio come a quindici anni, che mi siano mancate delle chiavi di accesso. La musica sinfonica continua avere un sapore troppo aristocratico per la mia semplicità nel vivere la musica, forse è per questo che non sono riuscito a farmi scuotere fino in fondo dalla nona di Beethoven. Mi è bastata l’emozione di sentire un’orchestra dal vivo. E ad ogni modo non ero lì solo per me, ma per accompagnare la gioia di un’altra persona: auguri papà, è bello vederti felice come me da bambino e mi portavi a giocare in un parco acquatico in una qualunque giornata d’estate.

Canzoni del mese:
Giacomo Puccini, Nessun dorma
Ruggero Leoncavallo, Vesti la giubba
Madredeus, O Paraiso
Madredeus, A andorhinha da primavera
Madredeus, Coisas pequenas
Bonnie Prince Billy, Strange form of life
Bonnie Prince Billy, Lay and love

sabato 14 luglio 2012

Borbona

L'età della transizione - VII tappa


Di radure e stelle. Di luna, cieli e cime. Di pini e faggi. Di film muto, visto a distanza di spazi e tempi per capire che ci si è dispersi chissà su quali terreni, fra capitali tropicali e lingue diverse. Pellicola rovinata, colori stinti e sei persone che parlano, ridono, camminano, senza poterne rintracciare parole, ispirazioni e –forse- persino le mete. Il ritrovo è vuoto. Come il buco della notte. Un fremito che risale nell’ombra, canto d’amore di gioventù. Il vissuto è vissuto, resta vissuto. Vissuto, interiorizzato, proprio: di radure e stelle. Di luna, cieli e cime. Di pini e faggi. Di un poeta che canta l’amore del restare, di incontri occasionali e tende tirate su ai piedi del chiaro di luna. Delle voci, pause di sonni accennati e parole da pronunciare e ascoltare. Di colori, tanti quanti le sfumature della notte: ogni suono ogni passo su foglia ritornata alla terra. Ogni visione dall’alto, ogni odore di legna liberato dal fuoco. Cotto e mangiato, come il suono di un carillon.

Nel carillon:
Zhang Weiwei, Guo Long 张玮玮, 郭龙, Wu dou gu’er 雾都孤儿 (2012)
Zhang Weiwei, Guo Long 张玮玮, 郭龙, Liangge xiongdi 两个兄弟(2012)
Zhang Weiwei, Guo Long 张玮玮, 郭龙, Midian米店(2012)
Zhang Weiwei, Guo Long 张玮玮, 郭龙, Miaohui 庙会(2012)
...

domenica 1 luglio 2012

Del Sud

In tempi di campionati europei e nazionalismi da palco –retorica collosa buona per crisi e sacrifici-
Ecco a tutti noi la nostra nazione, gli eroi e la gloria di stato:

“Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni ‘anti-terrorismo’, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico [...].
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di  saccheggio delle città meridionali, come i lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».
Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gli islamici a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso. Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce) come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il ministero degli esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costruire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria [...].
Né sapevo che il Regno delle due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dietro a Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
E non c’era la ‘burocrazia borbonica’, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a ‘far la stagione’ per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul Lago di Como.
Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre ancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’Inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stadi d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?
[...]
Credevo a Giosue Carducci delle Lettere del Risorgimento italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministero della pubblica istruzione direzione generale per l’educazione popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (...), la revisione critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni diversamente meditate (...) della più complessa realtà del ‘libero censimento’ al quale si riferisce il poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire [...].
Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.”
...

da Pino Aprile, Terroni, Milano: Piemme, 2010.
  

Canzoni del mese:

Briganti di terra d’Otranto, Core schiattasu
Ghetonia, Kalì nifta
Eugenio Bennato, Ninco Nanco
Zimbaria, Le sei menu nu quartu
Menamenamò, Menamenamò
Tommaso Zuccaro e Salentucantu, Tristezza cantu
Orchestra popolare italiana,