giovedì 7 giugno 2018

Praga


L'età della transizione - XVI tappa

Dove andare dove camminare dove stare. Ricominciare.
Esistono migliaia di punti d’arrivo e ripartenze nell’arco di una vita. Per me, però, il migliore è Praga. Mi lascia procedere al buio, ascoltare le parole di Jan Hus e guardare al sacrificio della mia guida San Giuda Taddeo. Posso elemosinare fortuna da Giovanni Nepomuceno e dalle sue stelle, come un derelitto, o mischiarmi agli artisti di strada per nascondermi ed esibirmi allo stesso tempo. Posso riflettere e recuperare una coscienza. Imparare a esprimermi con nuove forme, le vecchie le ho perdute perché ora sono un uomo nuovo.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la sarabanda di Handel.
Ti guardo e so che hai un accento straniero, spagnolo, ti seguo. Sono certo che quando arrivai non eri con me. Ero solo, tra le case di Přerov nad Labem, dove le genti diverse si incontrano e capiscono quanto vicini siano gli uomini nella loro distanza. In lotta con la natura. In armonia con la natura. Alla mercè della natura. Che siano patate, grano, miglio o riso. Rimasi lì notti, giorni e ancora notti. Quando arrivai lungo il fiume la città andava spegnendosi, le persone si acquietavano al termine del brulicare quotidiano e si preparavano a cenare. Con le loro famiglie. Io non avevo nessuno, solo una visione apparsa all’improvviso dopo avere annaspato nella Folimanka. Navigando prima verso Ovest e poi verso Nord, superato ponte Jiráskův. Sempre più vicino, sempre più fiabesco. Il sole sui tetti prima della resa notturna, o a indorare facciate di colori diversi lungo la Moldava, fino alla reggia di chi povertà mai conobbe, sotto la solennità di San Vito Imperatore. Città proibita ai reietti, o a chi ha perso il proprio passato, come me. Per noi c’è Jan Hus, appunto, per noi c’è Santa Maria di Tyn.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la Moldava di Smetana.
Sembrava una leggenda, in quel momento il mio sguardo era distolto, forse fu allora che sei apparsa, forse. Oppure tra il balenio del fiume, o nei pressi del Teatro dei passi perduti. Oppure in quella fermata della metropolitana tra Pavlova e Vysherad che non sempre si legge nelle mappe, K’hamal. Ti assicuro che esiste davvero, ti assicuro che alla sua uscita c’è un labirinto che ci porterà da una giostra all’altra. A volte ci saremo spaventati, altre avremo riso. Avremo avuto paura, saremo stati emozionati, ci saremo presi per mano e, chissà, forse separati. In fondo era solo un sogno.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la follia di Corelli.
E allora ti seguo, osservo i tuoi movimenti per conoscerti. Ho paura di ricominciare tutto da capo, di farlo con te, allo stesso tempo mi attrai e non mi ritraggo. Praga è fatta per questo. Praga è città che soffoca di mercanti e genti diverse, ma oltre al sudore c’è vita e mentre si cammina succede di assopirsi. E sognare.

lunedì 14 maggio 2018

Siamo ospiti

Piansi la prima volta a cinque anni o poco più, o meglio per la prima volta ebbi la consapevolezza di aver provato dolore. Fu una forma di razionalizzazione. Era in occasione del mio compleanno, ricevetti il dono che più desideravo ma per superficialità dissi una parola in grado di ferire. Il giorno che aggiungevo un anno in più ferii mio padre, che urlò, urlò e urlò ancora.
Proprio in prossimità di una grande gioia scoprii il pianto, il fatto che avremmo dovuto essere tutti più felici, io, mamma e papà finalmente insieme, rese il pianto ancora più doloroso. Nel mio caso mi aiutò a capire l'esistenza del dolore.
Fu allora che avvertii per la prima volta di non essere a mio agio. Da allora sentii di non essere a mio agio. A volte accadeva la notte, altre all'improvviso, altre ancora proprio quando mi sembrava di trovarmi particolarmente bene in un posto.
Mi scoprivo e mi scopro ancora ospite. Non indossavo bene gli abiti del figlio, non indosso bene quelli del padre. Non indossavo bene gli abiti dell'amico e neanche quelli del conoscente. Male quelli del lavoratore, male quelli dell'amante. Sono ospite del giorno, quando salgo sulla metropolitana, e ospite della notte, quando capito in un letto e inizio a baciare una donna, con la luna color terra d'ocra quasi del tutto piena.
Per questo ho iniziato a giocare a nascondino, a nascondermi e a farmi trovare. Per farmi trovare e non sapere dove stare. Allontanarmi per provare l'abbandono. Farmi trovare per scoprire di essere cercato. Stare da solo per rendere la solitudine armonia. Farmi trovare per sapere che sarei stato abbandonato.
Ti chiedevo di contare, di arrivare a un numero qualsiasi, finché ne avresti avuto voglia o fino al tuo numero preferito. E io sentivo, ascoltavo e ti aspettavo. Come una forma di preghiera.
"Uno vieni qui
Due non andare via
Tre stammi lontano
Quattro sono i nostri occhi
Cinque dita della mano per sfiorarti nella notte
Sei la morte mia
Sette le meraviglie del mondo"

Ascolti del mese:
La rappresentante di lista, Siamo ospiti
La rappresentante di lista, E la luna bussò

lunedì 16 aprile 2018

Santo Speco


L'età della transizione - XV tappa


Dove sono stato. Quanto tempo è passato. Sono in fuga, sono in fuga, sono in fuga. A forza di essere in fuga mi hano beccato, crocifisso, messo alla gogna, di nuovo crocifisso e dimenticato in un buco. Non ho avuto coscienza e ho perso me stesso dopo che le tue guardie mi hanno trovato, fottuto cardinale. Il mio corpo è diventato il vostro zimbello, anche per questo ho scelto di uscirne. Non so come sia finito qui, forse ero pronto per farlo forse è solo successo. Fatto sta che non mi pesano le botte, gli sputi, le risa, il dolore fisico. Le cicatrici che rimarginano ferite significano anche questo, porta che si chiude sul dolore del passato, superamento, vita che rinasce, memoria che interiorizza e restituisce dignità anche al dolore.
Hanno aperto la porta in tre, indossavano tonache nere. Nei loro sguardi non c’era giudizio, sul mio corpo impresentabile non c’era il loro giudizio. Grotta dei pastori l’hanno chiamata. Dicevano che il nome viene dai pastori che giungevano in ascolto di Benedetto.
Chi è Benedetto.
È un uomo che ha vissuto come te tre anni in grotta per trovare se stesso.
Benedetto è uomo, tu sei Benedetto.
La luce mi acceca ma lentamente realizzo. Una parete che si fa versante, montagne tutto intorno. Ero convinto che dopo la fuga avrei inseguito, chissà perché ora non ne sento il bisogno. Il bisogno. Ora che sono fuori dalla grotta dei pastori, da quel buco, non sento alcun bisogno. Mi chiedo se sarà così anche domani.
Rientro, vedo la grotta di questo Benedetto. Mi dicono che lui ha scelto di starci, a uno come me - che ci è stato buttato e dimenticato anche da se stesso - sembra impossibile. Il risultato però è lo stesso, un uomo nuovo. Dalle mie parti dicevano “per rinascere devi prima morire”.

mercoledì 21 marzo 2018

Di marinai ed esplorazioni


La foglia, staccata da un ramo. Non è autunno, è inverno che vuole farsi primavera ma resta, si protrae e, disteso, permane come un muscolo in torsione per portare a termine uno slancio fisico. Neve, a tratti, vento che scivola dentro ai cappelli e alle sciarpe. La foglia, staccata dal ramo, intraprende un volo, lei che volare non sa. Goffo, fatto di capriole e abbandono alla forza del vento. Ci fu chi volle vederla posata su un fiume quasi ghiacciato, come una lieve barca in cerca di sbocco. In cerca di sole e calore. Ci fu chi la volle nell'aria, perdersi nel vento vorso orizzonti sconosciuti ai più. Ci fu chi la vide a terra, sommersa da neve, consegnata alla natura. Che è transitorietà, impermanenza, mutamento e movimento. Terra che cerca nuova dimora nella terra.
Mi sono staccato. Da molte persone a dire il vero, ma soprattutto da un luogo. Un porto. Feci un lungo viaggio da bambino, con pochi approdi al mondo reale, come succede di frequente a quella età. C'era una terra di mezzo, tra mondo reale e fantasia, un posto dove sinfonie musicali si susseguivano come burrasca e mappe spuntavano da contenitori cilindrici impolverati in ogni angolo. Le pareti erano gialle, in cortina, costellate di reperti dai viaggi più disparati. Il marinaio in capo era mio padre, che aveva proprio l'attitudine di un vecchio lupo di mare al comando sul ponte di una nave, ma quando il mare era in risacca o quando era di ritorno da grandi esplorazioni si fermava al porto e si immergeva nelle mappe.
Una decina d'anni fa ritrovai quel porto, ne feci addirittura un riparo saltuario. Il vecchio pirata iniziava ad ammainare le vele, partiva sempre più di rado e la sua aria sul pontile non era più così imperiosa come mi sembrava da bambino. Però quel porto rimaneva sempre un luogo di pace e di studio, e anche un molo da cui partire per esplorazioni a volte banali a volte più ricercate e complesse. Ero talmente a mio agio lì che a distanza di anni ne feci la mia casa. Probabilmente fu un errore, i porti sono luoghi di transito e non sono adatti alle permanenze, ma in fondo quel posto era mio e in più non lo era stato in passato pur avendo avuto allora un significato importante. Ecco, avevo ereditato un significato e ci avevo aggiunto un senso nuovo da trasmettere a qualcun'altro.
Ora il porto è in decadenza. L'ho abbandonato un mese fa ed è in attesa di un significato nuovo, che forse arriverà e forse no. D'altronde anche i grandi imperi decadono e i luoghi più insignificanti potranno diventare centrali un giorno. Un luogo, in fondo, non scompare mai.
Non so se questa sia una storia di passaggio, da infanzia ad età adulta. Non so se stupirmi se a un certo punto abbia preso coscienza delle partenze e dei ritorni. Soprattutto dei volti che ho incontrato tra una partenza e un ritorno. Ora però sono tutti davanti a me nell'arco di pochi minuti. Tra i tanti volti della vita il mio sguardo è caduto sull'amore, sui volti che l'amore ha assunto durante la mia vita. Su Ilaria, Roberta, Beatrice, Valentina, An Xin e ancora su Ilaria, che ora è qui, davanti a me, con un altro corpo e un'altra lingua. Io scrivo di lei, lei parla al telefono, forse mentre parla scrive di qualcuno che non sono io. Ho davnti più di vent'anni di attrazione e ritrazione. Amore, ci hanno scritto sopra versi, canzoni e racconti. Lo hanno decantato e maledetto. Lo hanno rappresentato e riflettuto. Tra di loro si sono chiesti cosa sia e cosa significhi per ognuno di loro. Ne hanno fatto una religione o un qualcosa da cui rifuggire. Hanno provato a definirlo, a raggiungerne il cuore senza sapere spiegare niente. Io davanti a me avevo solo poche fotografie che ritraevano di per sé momenti insignificanti, ma tanto è stato sufficiente per provare sul mio corpo ancora una volta gli amori del passato, quello presente e aprirmi al futuro. Se solo gli umani si limitassero a vivere senza voler sempre spiegare tutto parlerebbero meno ma saprebbero capirsi più a fondo. Una strada davvero pericolosa, il linguaggio.

Canzoni del mese:
Canzoniere grecanico salentino, Beddha ci dormi
Daniele Coccia, Il cielo di sotto 
Motta, Ed è quasi come essere felice
Negramaro, Dolores, Senza fiato 
Gambles, Safe side
Timber Timbre, Demon host
Agnes Obel, Riverside