giovedì 27 dicembre 2012

Sembrava ieri

Endofasia, il discorso interiore. Mao Mao riorganizza dati ed esperienze, realizza cosa sia il vissuto, per assimilarlo e dargli un senso. Siede nella penombra, la cui fonte risulta sconosciuta a uno sguardo esterno. Il punto di partenza potrebbe essere il ricordo: si è ritrovato a percorrere i vecchi viali del campus universitario, stavolta non per andare a lezione ma per altri motivi, o per caso. Sembra ieri e invece sono passati una decina di anni. Oppure ha ricordato così, senza storia e senza troppi perché, gli ultimi anni di scuola superiore. Di quando nella sua testa abbozzava una prima versione della propria coscienza sociale e politica. La prima manifestazione a difesa del popolo del Chiapas. Lui, cinese cresciuto in Italia, che sarebbe prima o poi tornato nel suo paese, scoprendo di non sapere più da dove fosse emigrato. Una madeleine tutta sua, dolce come ciò che di caro stringe a sé, amaro come ciò che il tempo gli ha strappato. Dolce-e-amaro come una commedia all’italiana anni Settanta, odio-et-amo come dicevano i classici latini, yin-e-yang come pensavano dall’altra parte dell’emisfero. La vita gli ha giocato un brutto tiro: gli è scappata via dalle mani senza troppe avvisaglie. Si è ritrovato lì, come un qualsiasi uomo di mezza età a chiedersi cosa stia facendo e perché abbia scelto proprio quella vita tra le tante. Nota i contrasti con la vita di quella sua controfigura, che camminava spensierata tra i viali universitari e marciava a pugno levato senza ancora capire che pueblo fosse quello che unito non sarebbe mai stato vinto. Lui, ragazzo di profondi ideali e buoni sentimenti, è oggi un uomo che non sa relazionarsi con l’esterno, che lavora senza avere un vero lavoro, che ha una compagna senza sapere quanto davvero l’ami e quanto invece semplicemente le viva accanto, che di quel popolo di cui aveva intravisto le sembianze ormai quasi sedici anni prima fatica a ritrovare traccia nel presente. Guardando la luna rischiarare la notturna pace celeste china la testa sulla sua inquietudine lambita dal tormento. Tante ombre ha scorto negli anni e neppure lui sa bene perché non abbiamo assunto una forma definita, una presenza distinta nella sua vita. Il punto forse è che non ha saputo dargli un contorno, vuoi per umiltà o mancanza di personalità, per ideale o incapacità. O forse si spiega nel vecchio principio del tutto scorre, tanto vero nella Grecia quanto nell’India del mondo antico. Vita di sfumature, quella di Mao Mao. Oppure l’endofasia che ha intrapreso non è ancora abbastanza lucida. Fatto sta che la vita gli è sfuggita via. A breve avrà un figlio o una figlia, e chiunque lo venga a sapere gli dice che la paternità sarà un’esperienza bellissima.

mercoledì 19 dicembre 2012

La più bella al mondo

Roberto Benigni lo trovo sopravvalutato, non mi ha mai fatto ridere un granché e mi da fastidio la solennità con cui viene considerato il suo contributo artistico-sociale. Ha un perché, un valore, a prescindere da quanto questi mi rappresentino, ma non li trovo più profondi del perché e del valore di tanti altri nel mondo dello spettacolo, anzi. Questo per dire che ho seguito con stizza la macchina di comunicazione per il lancio del suo programma pro-Costituzione, i refrain di pro e contro politici, pro e contro dell’opinione pubblica, l’evento mediatico. Ad ogni modo l’attualità e l’importanza dei temi sollevati dal programma sono evidenti.
La prima parte ha riservato battute sul ritorno di Berlusconi ed è stata efficace. Un commentatore, non ricordo in quale forum, ha scritto che buon comico è colui che sa ridicolizzare il potere e in questo Benigni è stato molto intelligente (o furbo, a seconda dei punti di vista, io li scelgo entrambi) e più bravo di quanto pensassi. Poi il contributo ai padri della Costituzione, partigiani e teorici (non proprio azzeccata la citazione di Andreotti per il tipo di pubblico del programma...), quindi l’ode alla Costituzione.
Ho trovato il programma efficace per aver saputo portare in prima serata ideali e valori che la vita reale mette da parte. Probabilmente, facendo caso a quando Benigni ha fatto ricorso ai suoi soliti, stucchevoli superlativi, era proprio questo il messaggio che voleva lanciare, risvegliando quel desiderio di partecipazione alla vita pubblica, per cui oggi è così immediato lamentarsi. Lamentarsi dalla privazione subita per mano del politico ladrone, traditore del nostro voto. Sarà pure vero, ma chi oggi in questo paese ha una devozione come quella decantata da Benigni per i principi della Costituzione? Ben pochi, tra i quali con ogni probabilità non c’è neppure lo stesso Benigni.
La coscienza politica oggi non è via facile da scegliere, non si insegna a farlo, né è un qualcosa che è molto compatibile con la società di benessere e dei consumi. Non a caso, la Costituzione è stata scritta dopo due guerre mondiali, quando la gente aveva la pancia vuota, aveva visto la distruzione e voleva ricostruire. E in questo emerge il maggior difetto dell’assolo di Benigni: l’invocazione dei bei tempi andati. Esaltare chi ha lottato per la Costituzione, chi ha scritto la Costituzione e i valori racchiusi nella Costituzione è nobile se si limita all’omaggio della memoria storica, ma è ignoranza se si vuole portare tutto ciò a modello da replicare nel presente. La storia è maestra di vita non perché occorre replicare il passato, ma perché essendo esperienza umana ispira il futuro.
Dire che la Costituzione, l’ideale repubblicano e quello democratico sono oggi anacronistici non significa insultare chi per la Costituzione, la Repubblica e la democrazia ha lottato e versato il sangue, ma portare avanti la loro missione di fronte all’incedere dei tempi. Altrimenti si diventa come il Cristianesimo regolato dalla Chiesa: al di là della nobiltà dei valori universali e senza tempo, una summa di norme e regole che per la società di oggi non valgono più non cedono il passo, vedi le posizioni su divorzio, omosessualità, procreazione e via dicendo. La res pubblica non ha fallito, è stato eroico versare il sangue per essa, ma oggi la società è altro. Sfida di chi vuol fare politica non è quella di riscaldare il brodo della partecipazione del popolo alla nazione e allo Stato (rischiosissimo, perché si farebbe il gioco della retorica di stato), ma capire come conciliare l’individualismo –valore sociale su cui il consenso è dominante, che piaccia o no- con la crisi dei sistemi rappresentativi e la diffusa ostilità per i poteri assoluti.
C’è chi continua a credere che il libero mercato e la libera società si regolino da sé, fortunatamente c’è anche chi dubita di questo e i tempi per ora sembrano dare ragione a questi ultimi  (ma la constatazione non conta un granché visto che i tempi si interpretano onestamente solo con il senno di poi).
Tirando le fila: onorare la Costituzione va bene se si vuole onorare la memoria storica, meno se si vuol rendere statica la storia. Il futuro non è nell’imitazione del passato ma nella sua analisi in rapporto alle condizioni presenti e alle tendenze future, e ciò che era valido ieri non è certo che lo sia ancora oggi, di sicuro non lo sarà domani. In quanti, guardando il programma avranno pensato che sia realmente fattibile riportare in vita i valori della Costituzione?