sabato 17 novembre 2012

Marmore

L'età della transizione - IX tappa


Ci sono momenti per cercare e altri per fuggire. In su, ho paura di quando sarò arrivato fino su fino in cima risalendo acque scoscese e il rigoglio di alberi a mecchie, avvinghiati, a grumi. Ho paura che per continuare a fuggire dovrò ricominciare a scendere e dimmi che senso ha prima salire poi scendere per fuggire. Io fuggo. Prima o poi tornerò a cercare. Prima o poi. E tornerò qui, per altri scopi con altre aurore e forse allora ci saranno arcobaleni ad accogliermi e non cieli chiusi dal vapore acqueo alla fine della piccola galleria degli innamorati. Tre salti, più di cento metri. Come fosse Amazzonia, l’acqua non cade ma scivola, sesso pena pienezza e amore mio. Ed è tutt’uno con la vegetazione intorno, non c’è sconquasso. Tre salti verso l’alto, compagni di fuga, uno due e tre. E poi riscenderemo. E risaliremo. Scenderemo. Risaliremo...

domenica 11 novembre 2012

Micah P. Hinson

Metropolitana linea B, sulla banchina. Ad aspettare, un treno non so per dove, non ricordo in quale stazione.
Da dietro la voce: “buongiorno”.
Ne era passato di tempo. Lei di ritorno da una delle sue tournée, io nella mia vita fatta di stasi e regolarità, saranno i ritmi di famiglia e le docce del martedìpiùvenerdì. Oggi, a trent’anni e poco più non mi succede più di condividere anima e sentimento come quando di anni ne avevo venti o giù di lì. Non so perché. Allora passavamo i sabati su un letto a cambiare cd e a parlare di incontri e sensazioni, e le parole non erano prosciugate come oggi.
Metropolitana linea B, sulla banchina. Lei mi dice “buongiorno” con l’aria piena di chi viene dal mondo dei vivi, così decido di cambiare programma e accompagnarla a casa, quella di una volta. Prima o dopo un pranzo cinese, tira fuori la sorpresa. Dal lettore esce una voce indolente, che viene non so se dalla trachea o dallo stomaco. Comunque da dentro, come ciò che canta. Stona, dissona e ritorna a suonare calda. Voce e chitarra, melodia che richiama where is my mind? ma con un’anima diversa. Micah P. Hinson canta the possibilities. Da allora saranno passati non so quanti anni, forse cinque o sei, forse di più. Ho accumulato un paio di album e aspettato congiunzioni astrali e incastri giusti per vederlo dal vivo. 5 novembre 2012, circolo degli artisti. Attacca con take off that dress for me, una delle mie preferite, e capisco che quella è proprio la sua voce, una delle migliori voci maschili dell’ultimo decennio. Ma da sola non potrebbe fare niente, se non ci fosse il suo vissuto da sviscerare, da raccontare con parole e con chitarra, con quel modo di suonare e comunicare.
C’è stato sotto, con droghe o con alcool, non ricordo più. Racconta senza freni di sé, d’altronde è un artista. Ha movenze strane, eccentriche; non è un nerd ma a tratti mi fa venire in mente un personaggio di Nathan Never, il mio fumetto preferito di gioventù. A volte assomiglia a Sigmund, nonostante apparentemente il contrasto sia evidente. Parla molto, di sé dell’ispirazione dei pezzi che canta. È di quegli americani alternativi che dicono fuck ogni tre parole, cosa che dovrebbe far riflettere sugli alternativi americani. Il mio inglese non mi permette di andare lontano, ma credo non stimi molto Elvis (“Quale cazzo di ré del rock and roll, come cazzo può essere un ré uno che non scrive le canzoni che canta?”). Si è scordato due, tre volte la seconda strofa di Suzanne (“Fottuti canadesi”), a tratti nel suo non poter soffrire niente e nessuno sembrava triste. Ha ringraziato a più riprese il pubblico romano per avere ascoltato la sua esibizione senza parlare troppo e sembrava sincero. Sul palco, a parte lui, c’era un tavolino. Sopra un succo di frutta, la tracklist, una bottiglietta di birra o acqua, delle pastiglie che di tanto in tanto ingeriva. Dall’altra parte della sera un corvo finto o impagliato.
Mi è sembrato abbastanza indecifrabile, ma forse ho conosciuto troppo pochi americani nella mia vita per farmene un’idea. Però un legame tra come si comportava sul palco e quello che cantava c’era. Ispirazione cantautoriale, sa suonare anche bene, violento di una passione sofferta sulla chitarra e sul suo approccio alla musica. Non è un problema se ogni tanto il finger picking fa cilecca, fa parte di ciò che comunica. Così per la voce: calda, profonda, viscerale e un attimo dopo urlata, steccata, lacerata.
Bello davvero vederlo dal vivo, toccante fino alle ossa.

Ci abbracciavamo
Senza riuscire a vedere
Il futuro che ci pendeva davanti
Il passato ora è troppo lontano per essere visto
Ma non guardavamo e non facevamo caso
C’era qualcosa rimasto tra noi, allora,
Ma ora immagino che semplicemente non sia più lì

Quando ci baciavamo, sai
non potevamo vedere, sai
Il futuro che ci pendeva davanti
Il passato ora è troppo lontano per essere visto
Ma non guardavi e io non facevo caso
C’era qualcosa rimasto tra noi, allora,
Ma ora immagino che semplicemente non sia più lì


Micah P. Hinson, When We Embrace, in Micah P. Hinson and the Red Empire Orchestra (2008).

domenica 4 novembre 2012

Il ricordo di quei giorni sempre uniti ci terrà

Ci sono film come C’eravamo tanto amati. Ritraggono la vita per quello che è: esperienza di bellezza e imperfezione umana che lascia il riso nel rimpianto e l’amaro nella speranza. Narrazione di uno slancio abulico, di figura angelica che si scopre umana, ancorata a terra e prigioniera di catene innate. Scola dirige, Trovajoli musica, Satta flores, Gassman e Manfredi recitano un’epoca di cui fanno parte e tutto si filma così, con tale naturalezza, che fa pensare di trovarsi davanti a un film che non poteva non essere girato, perché dentro c’è tutto quello che una generazione ha avuto da dire, confidare e confessare. Sogni, malefatte e disillusioni. Un ritornello umano che assume sembianze diverse a seconda delle epoche e dei palchi ove il vivere riprende forma. Vedere C’eravamo tanto amati è insieme esperienza estatica, esperienza storica ed esperienza umana che lascia spogli.
Nessun momento, come la fine di una guerra, meglio si sposa con l’idealismo. A pensarci superficialmente, se qualcuno chiedesse –a me che guerra non ho vissuto- che cosa succede alla fine di una guerra, risponderei che si fa la conta dei morti. Eppure l’uomo tende alla vita e alla sopravvivenza, a legarlo alla morte ci pensa la natura. Ci sono persone che restano ancorate al dolore di milioni di morti, gente che esce dalla storia. Ma chi accetta il tempo, chi accetta la vita è già lì, crede di sapersi rialzare senza commettere gli errori di chi lo ha preceduto, con la baldanza di chi vuol fare il futuro. Borghesi. Proletari. Intellettuali. Palazzinari. Avvocati. Scribacchini. Portantini. Arrivisti. Attori. Registi. Padri e madri. A ognuno la direzione che sceglie, per la disillusione c’è tempo. Anche se la vita, vista a ritroso, sembra sempre più breve.

Eravam tutti pronti a morire, ma
della morte noi mai parlavam
Parlavamo del futuro
Se il destino ci allontana
il ricordo di quei giorni
sempre uniti ci terrà.

da: Maria Teresa, E io ero Sandokan (musica: A. Trovajoli, testo: E. Scola, 1974)

giovedì 1 novembre 2012

Fin da qundo ero piccolo

Mi è venuto in mente così, pensando al presente, al passato e al futuro. Ho pensato a come le particolarità e i gusti di una persona emergono da cose anche insignificanti, sfiorate da bambino. Ero alle elementari, la prima volta che mi sono imbattuto nei modi e nei tempi verbali. Da piccolo ero abituato a dividere sempre tutto in buoni e cattivi. Mi piacevano i greci e non i romani, i babilonesi e non gli assiri. Mi incuriosivano i persiani e i fenici, era quanto di più lontano potessi immaginare allora. Così, anche i verbi erano simpatici o antipatici. Adoravo il condizionale, mi piaceva per il suono e per la cadenza, ma anche per quel velo di ipotetico che portava sempre con sé come sua condizione; anche se allora ancora ignoravo l’ammirazione per i “se” e per i “ma” che mi sarei portato dentro in futuro. Poi c’era il futuro anteriore, era il tempo che mi intrigava più di tutti, quello che non capivo e che mi affascinava con il suo mistero. Forse sarà stato per l’associazione tra futuro e passato che si porta dentro, per quel futuro che è già un po’ passato. Chissà.
Lunedì 5 concerto di Micah Paul Hinson. Ci sarò.