lunedì 22 febbraio 2010

Anelli

Ho continuato a fissarlo almeno per un’ora interrogandomi sul meglio, sul peggio e sul senso della scelta. Pressioni reiterate, implosioni sentimentali, voglia di porgere. Un portafogli troppo vuoto. La scelta è stata fatta: passeggio nei locali di uno di quei mega centri a tema, stavolta con oro e argento. Anelli come simboli di un legame, vincoli sociali, impegni per il futuro, pegni d’amore, segno di status, pro-forma. Ho scelto la prima definizione e mi sono messo alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a due rami incrociati uniti da una roccia. Due sottili braccia e al centro una pietra preziosa, vera o falsa che sia. Non mi interessa. Non mi interessa neppure capire quelle spiegazioni sulla differenza tra l’oro bianco bajin e bojin, neppure ricordo bene quello che hanno provato a dirmi. Semplicità e linearità, come il nostro amore. Oro bianco, odio il giallo. È perfetto (se non fosse che costi più del budget fissato, che devo partire e i soldi mancano soprattutto in prospettiva futura, che non riuscirò a mettere da parte quello che avevo preventivato alla fine del mese e poi e poi...). Maledetto il risparmiatore borghesizzato o troppo socialmente inserito nel vivere in società che sono.
Rieccomi in camera. Dopo aver accennato a un pensiero da commedia sentimentale americana. Regalarlo alla prima passante (carina) che avrei intravisto in metropolitana. Infilarglielo in una borsa o in una tasca e scomparire anonimamente. Seduto sul sofà, il notebook di lato, una sigaretta già accesa. Sul tavolino una scatolina rossa aperta e quell’oro bianco che scintilla, così macchiato di società a deturpare la spontaneità di un sentimento. Sarà davvero così? I nostri amori possono esistere di per sé e a prescindere del vivere sociale? Penso di non avere neppure il coraggio di darglielo. Nel tardo pomeriggio ci intravediamo, a casa di un’amica per il mio taglio di capelli di buon auspicio per il nuovo anno. (Mal)celo, ma lei non sa, non può sapere e perciò non capisce. Faccio in tempo a fuggire dal taxi sulla strada del ritorno, in cerca di amici in un pub o per il gelo di Beijing, bere, scambiare pensieri e riflessioni, fumare, di nuovo bere. Come fosse un addio al celibato. Faccio in modo di tardare in modo di trovarla con la luce spenta, distesa sul letto e gli occhi chiusi.
Salgo le scale, mi lavo al buio con cautela, in camera la porta è chiusa. Buon segno. Entro lentamente con le scarpe in mano. Non era mai successo: alle tre è ancora lì ad aspettarmi sorridendo, occhi spalancati e luci accese. Decido che non posso aspettare e che quella convergenza di segnali in cui speravo è arrivata. Mi infilo nel letto, lascio intendere di avere qualcosa per lei, quanto basta per incuriosire. La magia è pronta: dalla mia mano appare una scatola rossa, con dentro due rami (le nostre braccia) appoggiati su una roccia (le nostre speranze). Si infila gli occhiali per capire se è vero, mi abbraccia e sento le sue lacrime. Viene da piangere anche a me per il nostro amore e per aver potuto incontrarla, forse escono una o due lacrime spezzate, forse. Finalmente la società è lontana, nel nostro letto, solo noi senza pressioni e seconde intenzioni.

Nessun commento: