giovedì 17 dicembre 2009

Aerei

Usualmente rifuggo le affiliazioni: dividono, schierano e rinchiudono. Non mi sembra così indispensabile come viene troppo spesso affermato che uno schieramento netto ed inequivocabile sia dovuto. L'osservazione dell'altro è una forma di conoscenza che vale molto di più di un castello logico inattaccabile dall'idea avversa. Se vuoi si può pure ricondurre alla nota filosofia -mascherata di bambino- che sostiene non esista un problema così grande da non poter essere evitato. Se vuoi. Altrimenti ci si può fidare di un punto di vista, per quello che è e quello che vale: pensiero.

Per questo, ogni volta che mi capita di preferire abbastanza nettamente un nero su un bianco o viceversa non posso che sentirmi a disagio. Penso ai treni e alle stazioni contro gli aerei e gli aeroporti. Vivi e confortanti i primi, asettici e spersonalizzati non-luoghi i secondi. Una volta sedevo tanti treni, e rimanevo appeso alla veridicità degli stereotipi sulle stazioni che uniscono moti passionali a indifferente quotidianità, status sociali a dialetti. Oggi sono spesso sugli aerei. Riesco a non averne più paura, ad astrarmi per undici ore e non pensare a quello che sono e che sto facendo. Come accadeva una volta. I treni sono adolescenti, gli aerei adulti.

In aeroporto nessuno si aspetta niente da me, il che risulta anche confortante per alcuni risvolti caratteriali. Poi c'è il battere del tempo, auricolari infilati, pellicole scorse che rivelano lacrime prefabbricate, simili a se stesse o a me stesso a seconda delle vicinanze emotive. Nuvole e tramonti, cieli neri.

Smuovono nella solitudine di chi ascolta, in quella solitudine che deve rimanere inespressa perché non ci si perda in manifestazioni incomprensibili a gente non conosciuta. Mi innamoro sempre sugli aerei. Dalle uscite agli interni: hostess, ragazze che siedono accanto per ore e che mai sarebbero spinte a conoscermi altrimenti. Ragazze che aiuto nel posizionare le pesanti valigie. Ragazze che dormono e si aprono agli sguardi di uno degli atti più intimi che esistano. Perché assistere al sonno di una donna è sempre un privilegio. Tra privilegio dettato dal caso e imbarazzo-senso di colpa per rubare le immagini di gente che scompare. E si aggiunge a ciò che lascio e ciò che ritrovo. Di nostalgia in nostalgia, da pellicola a pellicola, di suono-in-suono. Inespresso. Meglio i treni, pieni di chiacchiere, lacrime e indifferenza. Meglio i treni, ma la Cina è lontana.

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