mercoledì 8 settembre 2010

Sulla scrittura

Mi accade di scrivere ultimamente, non per me ma per altri. Mi capita di parlare, di non riscontrare ideali artistici dati per scontati, sempre con maggiore coscienza, nel tempo. Mi capita di infastidirmi nel vedermi cambiare una forma, suggerire una parola al posto di un’altra, e di non capire perché dovrebbe essere meglio così che in un altro modo, come l’avevo pensata io. Per me era tutto ovvio, prima, meno per altre persone: quando si scrive la prima cosa non è il significato, non la chiarezza, non la linearità. E a sentire che molta gente la pensa diversamente mi lascia in un angolo. Non ho mai pensato di scrivere in modo irrazionale o ermetico. Contorto, quello sì perché ho preso un’abitudine pesante nel tempo, di pensare le cose da ogni angolazione e infilare ogni ombra e ogni riflesso ad ogni costo. Dire (scrivere) ogni passaggio di ogni pensiero. Quello sì, non mi è mai piaciuto in quello che scrivo. Ma criticare perché una cosa è poco chiara...
Come se si potesse comunicare solo un’idea e non un’estetica, un suono, un’immagine, un moto d’animo in ciò che uno scrive. Tra l’altro: la comunicazione per capirsi è sempre stato un ideale estenuante, avvicinabile come ogni ideale, per carità, ma mai raggiungibile (come ogni ideale). Si può intuire e in una certa misura anche capire. Ma quante volte quello che dico arriva a te come l’ho detto io. Quante volte quello che sostieni con tutte le forze lo ritrovi nelle mie orecchie. Per non parlare di quando si hanno opinioni diverse e si inizia a difendere se stessi prima di capire l’altro. Che poi, quando ti capita di dire o sentirti dire “ho capito” non ci crede nessuno e si è solo stanchi di discutere/lottare per convincere/difendere le proprie torri di certezze. L’arte, il vecchio interrogativo sempre buono per smarrirsi e ritrovarsi: ascoltatori, osservatori, critici avranno recepito proprio quello che l’artista voleva dire? No, ma il bello è proprio lì: trasmettere attraverso un’emozione o un’idea propria per far sì che l’altro ci ritrovi proprio quell’emozione di cui aveva bisogno per riconoscersi. È questa l’arte dell’arte, creare e ritrovarsi nelle creazioni altrui per rassicurare il proprio essere.
(Sto scrivendo per estremi e questo non piace neanche a me).
Il problema è che quando uno non capisce gli stati d’animo di un cantante o di un poeta e li legge con la propria lingua, pace. Quando ci si scambia idee bisogna capirsi però, altrimenti o si spreca tempo o si effettua un percorso di crescita troppo personale, in cui l’altro non viene recepito o respinto ma è solo un referente su cui costruire, smontare e accettare potenziali approvazioni e opposizioni al proprio discorso. Un alter-ego immaginato più che vissuto. Poi ci si può pure illudere di capire, magari si può anche avere la sensazione o intuire (livelli ben più alti della sapienza) l’altro. Si può persino sentire di capirlo. Ma non lo si capirà mai fino in fondo, altrimenti smetteremmo di parlare, scrivere, litigare, discutere, sorprenderci, fare la guerra, urlare, stupirsi, dare per scontato, fare la pace. Tutto sarebbe superfluo.
E allora? Ho pensato a lungo di nutrire una sfiducia implacabile verso la comunicazione, parlata o scritta. Ma non era così. E l’ho visto quando ho iniziato a infastidirmi perché le persone per cui scrivo hanno cercato di cambiarmi proprio quella parola che mi piaceva tanto. C’è sempre da imparare da chi fa un mestiere da più tempo di te, che sia un giornalista, uno scrittore o una professoressa. C’è sempre da migliorarsi. Non ho mai avuto un ego troppo pieno e neppure troppo vuoto: a volte lascio andare troppo facilmente, altre mi blocco su dettagli, altre ancora difendo un mio modo di essere. Così, a volte posso migliorare nello scrivere, altre avrei potuto intestardirmi, altre difendo il mio modo di essere nella scrittura.
Scrivere implica una trasmissione, anche se da rimodellare almeno in parte. Se non amo trasmettere idee è perché non mi piace che le idee siano fraintese e mi uccide pensare che viviamo in un mondo di riscrittura di significati secondo l’essere di ognuno. Però amo scrivere. Perché oltre al significato c’è qualcosa di più alto nella scrittura: il suono di due parole accostate, la bellezza estetica di una frase, come se si potesse sfiorarne la forma, il contorno e la consistenza. L’immagine. Perché se non so spiegarmi posso sempre dipingere per dare un’impressione. Per dare impressioni non bisogna sviscerare riflessioni e significati, basta rendere una sensazione con delle parole. Un pensiero non deve essere inattaccabile ma intuibile nello spirito per essere una base su cui aiutare l’altro ad esprimere se stesso. E per far sì che tu possa cogliere un’impressione di quell’espressione per aggiungere una nuova immagine in te stesso, da trasmettere infinitamente e mutevolmente.
I significati non sono inutili. Ogni volta che si sceglie una parola lo si fa perché se ne coglie un aspetto. Ignorando i significati si priva la parola di ogni valore. Ma a dovere essere negata è la comprensione completa del significato di una parola, non una delle sue ombre o delle sue luci, dei suoi riflessi. Cogliere una luce, renderla attraverso una pittura per dare la possibilità ad uno spettatore di trarne un aspetto, da imprimere in una nuova immagine e rendere in un testo lirico da cui assorbire lo spirito di un passaggio... Non amo lo slancio del realismo, la volonta di narrare i fatti. La scrittura è impressione, descrizione soggettiva e, perché no?, creazione. Arte. Anche quando si scrive un articolo per parlare della Cina. Anche quando si scrive una tesi di dottorato. (Con i dovuti compromessi perché non si vive da soli ma in un’entità pluralista, la società, dove esistono delle norme). Per non parlare di quando si scrive una poesia, una canzone, si gira un film, si scatta una fotografia, si scrive un libro.
Anni fa una persona (poco dopo avermi soffiato la mia ex ragazza per un po’), leggendo una poesia che avevo scritto, mi disse che ero un pittore e non un poeta. Mi ha sempre fatto piacere ripensare a quelle parole, perché mi sono sentito compreso nella mia attitudine di non volere comprendere né far comprendere. Una dimensione che non fa troppo caso alla coerenza e all’inattaccabilità di una posizione.
Contro ogni sistematicismo, sempre. Scrittura, arte, rivoluzione e sogno.

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