domenica 24 aprile 2011

Mano nella mano, respiro nel respiro nella metropolitana di Pechino ("Terzo provai con la pistola, sparai parole")

Premesse:
Primo. Non so, mi è venuta in mente così oggi mentre prendevo la metro a Pechino. Fare un video che non farò, o forse sì. Magari. Un giorno. Se. Ne avevo già immaginati altri prima. Pechino ha una rete metropolitane molto sviluppata, ma non basta. “Zhōngguó rénkŏu duō”, te lo senti dire a più riprese in Cina; ostinatamente, instancabilmente. “I cinesi sono tanti”. La linea uno va da Ovest a Est, taglia in due la città, ma la città si è allargata, così al capolinea della linea uno si può prendere un altro treno, la linea bātōng, sempre più verso Est. È qui che vivo da qualche mese, in una periferia che sembra film.
Secondo. Bātōng+cambio linea uno orario di lavoro per la prima volta in 5 anni non lo avevo mai fatto prima spero di non doverlo rifare c’è gente che lo fa ogni giorno ad esempio tutti quelli che hanno un posto fisso e vivono nella periferia Est della città. Mezzi alternativi: assenti. Taxi, bus e mezzi di superficie bloccati nel traffico di una delle arterie principali del traffico cittadino, con semafori a ripetizione e cantieri in costruzione.
Terzo. Non è un problema della compagnia di trasporti come potrebbero supporre gli utenti Atac. A Pechino i trasporti funzionano, ci sono metro ogni pochi minuti e gli autobus passano spesso. Semplicemente, non bastano perché c’è troppa gente che vive in questa città e le distanze sono diradate nello spazio.
Cronaca:
Arrivo in stazione, la fermata si chiama ‘Università della comunicazione’, è la terza sulla linea bātōng. Ogni fermata metro a Pechino ha un metal detector all’ingresso (non c’è mai stato un attacco terroristico ma il nipote di un alto dirigente è il padrone di un’azienda che li produce e così... Evviva il post-socialismo con caratteristiche cinesi). La fila inizia da lì, appena dopo l’ingresso in stazione e prima dei tornelli. Alcuni guardiani sono in contatto radio con le banchine: appena si svuotano un po’ fanno muovere i primi della fila oltre i tornelli. Tempo di attesa: pochi minuti.
Scendo le scale e arrivo sulla banchina, neanche troppo piena. Funziona –penso-, così evitano il congestionamento e tutto fila liscio senza spintoni. Ingenuo. I treni arrivano già pieni zeppi, nessuno scende ed è palese che nessuno potrebbe neanche salire. Ma i primi della fila prendono una mini rincorsa con aria tranquilla; e premono, premono, premono ancora finché non ne entrano almeno quattro. Mentre si chiudono le porte dalla banchina la gente li spinge dentro con l’aiuto anche gli ausiliari di stazione. Qualcuno pronuncia frasi di incoraggiamento: “Secondo me ce la puoi fare”, “Prova a spingere un po’ più dentro la gamba destra che ce l’hai fatta”. Tutti hanno un’aria tranquilla, concludo che questa è la normalità. All’arrivo del primo treno sono in terza fila, la seconda volta potrei osare ma non ho il coraggio di buttarmi dentro, la terza tiro un sospiro, mini-rincorsa e mi butto dentro spingo e aspetto che mi spingano da fuori. Funziona, addirittura ne sale un’altra dietro me.
Sul treno: le tre fermate sono un incubo, manca aria, ho un braccio di una ragazza conficcato nella schiena, mi premono alle frenate e alle ripartenze e premo anch’io chi sta dietro.
Infine: arrivo al capolinea e cambio linea uno. Le porte si aprono come fossero gabbie, le persone escono come fossero in fuga. Come fosse una gara. O una scena di panico. Tutti corrono per salire per primi le scale. Motivo evidente, appena si sale al piano di sopra tutti fermi incolonnati in un percorso con transenne. Percorso lungo, a zig zag, di quelli che innervosiscono perché ti fanno arrivare da un capo all’altro della stazione che di per sé è bella grande quando basterebbe andare dritti per venti metri per raggiungere le scale e scendere sulla nuova banchina. C’è chi è in ritardo, li vedi prendere una rincorsa e scavalcare per primi le transenne. Sembrano i 110 a ostacoli con atleti in gicca e cravatta e pancetta.
Sotto la banchina va un po’ meglio, le metro passano spesso. Aspetto con pazienza di diventare il primo della fila e quando arriva il treno ho il mio posto. Ma già dal capolinea la linea uno si riempie e nelle prime stazioni osservo da seduto i giochini a pressione tra chi scende e chi sale. Immagino me lì in mezzo, solo un quarto d’ora prima.
Penso a chi lo fa tutte le mattine. Se questo è essere vivente.
Dal mio posto immagino il mio video con riprese da diversi angoli visuali: sulle file, da fuori e da dentro il treno, zoom sulle spinte per far entrare la gente nei treni, inquadrature da lontano delle corse per prendere i posti sulle scale e sulle banchine, la corsa a ostacoli. E poi la colonna sonora, qualcosa di indie-elettronico urbana. I primi a venirmi in mente sono i Death in vegas, Hands around my throat.

1 commento:

daniela ha detto...

ha ha ha..imbarazzante!!!
ci vuole coraggio...