lunedì 3 febbraio 2014

Ritratto di città – Atac #1


20:15, dal cielo qualcuno butta giù pioggia e pioggia, pioggia su pioggia. Pulsante. Grigio rigato, scavato. Grigio che fu metallizzato, le porte scorrevoli si aprono. Per un attimo non entro, anzi sento un’inconscia repulsione. Ma è una situazione quotidiana, un atto di routine che non si arresta, così le gambe si muovono fin dentro l’ascensore. Dentro cicche di sigarette, plastica annerita alla rinfusa e carta consunta. Fardelli di consumismo e sporcizie di vissuto impossibile da risalire. Riesco a isolare solo la puzza di piscio, intravedo catarro sputato. Lo specchio ricoperto di spray privo di criterio. Alzo lo sguardo. Pareti scarabbocchiate con pennarelli, come pure il soffitto guarnito da debole luce al neon. Black neon, mi viene in mente, pensando a un libro comprato di recente e il cui titolo sembra sintesi perfetta e ragionata. Tutto questo non ha ancora quindici anni. La metropolitana è il marchio di una città, un sangue che trapassa vene e arterie. La mia stazione è profonda, si scende molto e ho tutto il tempo di mettere a fuoco l’inquietudine che si prova nell’attimo in cui le porte si aprono. È solo l’ascensore della metro ma sembra la via d’accesso ai bassifondi dello spirito, di un’umanità dimenticata dalla società di superficie. Eppure la gente normale ci scende. Convinta che anche la metropolitana di Roma –tutte le strade portano a Roma, Roma caput mundi- sia parte della città di sopra. Che gli emarginati si nascondono in fogne ancora più basse e nascoste alla vista. L’ascensore si apre, davanti alle porte non c’è nessuno e posso riprendere a percorrere la mia razionale routine. Una. Due. Tre, quattro e cinque. Sono in cinque in tutto, parlano con l’accento dell’Est e sembrano non superare i 16 anni. Salgono le scale mobili e si accalcano a turisti inebetiti. Non so cosa gli fottano, ma fuori dai tornelli il mondo torna a farsi normale. Ci sono persino tre persone in divisa. Un uomo sulla quarantina si avvicina e dall’alto di un incomprensibile senso civico dice: “Ci sono delle ragazzine che rubano di sotto”. Tre uomini in divisa alzano le braccia in segno di impotenza. “Non so che farci” dice uno. Le avrei riviste, le cinque ragazzine, un giorno e poi un altro. Anche altri le riconoscono, due tizi constatano tranquilli: “Arièccole, sempre qua stanno”, “nun je fanno niente perché so’mminorenni, però poi esce fori che c’hanno cinque fiji a carico”. Appena fuori dalla fermata di Marconi mi trovo davanti una scala per raggiungere Via Ostiense. A chiocciola, non si vede chi c’è cinque gradini più in là. La puzza di piscio è insopportabile, black neon qui lampeggia e penso che sta per iniziare un horror giapponese, fanghiglia nera ricopre metà di ogni gradino scalini costringendo a scendere quasi rasente alla colonna centrale. So che qualcuno apparirà all’improvviso al prossimo passo, o dopo un altro ancora. Se lo aspetta chi sale e chi scende, ma è inutile aspettarselo, salteremo tutti e due lo stesso. Per poi riprendere il respiro e pensare che nei bassifondi di città è ancora normale non fare brutti incontri.

2 commenti:

Baol ha detto...

Hai descritto molto bene queste fermate della metro...minchia, a Milano non stavano messe così male :(

Intizar ha detto...

Ogni volta che ci vado Milano (ma non solo, diciamo tutte le città che ho visto) per quanto riguarda le metro mi sembrano aventi anni luce a Roma:)