giovedì 7 giugno 2018

Praga


L'età della transizione - XVI tappa

Dove andare dove camminare dove stare. Ricominciare.
Esistono migliaia di punti d’arrivo e ripartenze nell’arco di una vita. Per me, però, il migliore è Praga. Mi lascia procedere al buio, ascoltare le parole di Jan Hus e guardare al sacrificio della mia guida San Giuda Taddeo. Posso elemosinare fortuna da Giovanni Nepomuceno e dalle sue stelle, come un derelitto, o mischiarmi agli artisti di strada per nascondermi ed esibirmi allo stesso tempo. Posso riflettere e recuperare una coscienza. Imparare a esprimermi con nuove forme, le vecchie le ho perdute perché ora sono un uomo nuovo.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la sarabanda di Handel.
Ti guardo e so che hai un accento straniero, spagnolo, ti seguo. Sono certo che quando arrivai non eri con me. Ero solo, tra le case di Přerov nad Labem, dove le genti diverse si incontrano e capiscono quanto vicini siano gli uomini nella loro distanza. In lotta con la natura. In armonia con la natura. Alla mercè della natura. Che siano patate, grano, miglio o riso. Rimasi lì notti, giorni e ancora notti. Quando arrivai lungo il fiume la città andava spegnendosi, le persone si acquietavano al termine del brulicare quotidiano e si preparavano a cenare. Con le loro famiglie. Io non avevo nessuno, solo una visione apparsa all’improvviso dopo avere annaspato nella Folimanka. Navigando prima verso Ovest e poi verso Nord, superato ponte Jiráskův. Sempre più vicino, sempre più fiabesco. Il sole sui tetti prima della resa notturna, o a indorare facciate di colori diversi lungo la Moldava, fino alla reggia di chi povertà mai conobbe, sotto la solennità di San Vito Imperatore. Città proibita ai reietti, o a chi ha perso il proprio passato, come me. Per noi c’è Jan Hus, appunto, per noi c’è Santa Maria di Tyn.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la Moldava di Smetana.
Sembrava una leggenda, in quel momento il mio sguardo era distolto, forse fu allora che sei apparsa, forse. Oppure tra il balenio del fiume, o nei pressi del Teatro dei passi perduti. Oppure in quella fermata della metropolitana tra Pavlova e Vysherad che non sempre si legge nelle mappe, K’hamal. Ti assicuro che esiste davvero, ti assicuro che alla sua uscita c’è un labirinto che ci porterà da una giostra all’altra. A volte ci saremo spaventati, altre avremo riso. Avremo avuto paura, saremo stati emozionati, ci saremo presi per mano e, chissà, forse separati. In fondo era solo un sogno.
Batte l’orologio, prodigio tecnico che non può essere ammirato. Sento un suono, credo sia la follia di Corelli.
E allora ti seguo, osservo i tuoi movimenti per conoscerti. Ho paura di ricominciare tutto da capo, di farlo con te, allo stesso tempo mi attrai e non mi ritraggo. Praga è fatta per questo. Praga è città che soffoca di mercanti e genti diverse, ma oltre al sudore c’è vita e mentre si cammina succede di assopirsi. E sognare.

lunedì 14 maggio 2018

Siamo ospiti

Piansi la prima volta a cinque anni o poco più, o meglio per la prima volta ebbi la consapevolezza di aver provato dolore. Fu una forma di razionalizzazione. Era in occasione del mio compleanno, ricevetti il dono che più desideravo ma per superficialità dissi una parola in grado di ferire. Il giorno che aggiungevo un anno in più ferii mio padre, che urlò, urlò e urlò ancora.
Proprio in prossimità di una grande gioia scoprii il pianto, il fatto che avremmo dovuto essere tutti più felici, io, mamma e papà finalmente insieme, rese il pianto ancora più doloroso. Nel mio caso mi aiutò a capire l'esistenza del dolore.
Fu allora che avvertii per la prima volta di non essere a mio agio. Da allora sentii di non essere a mio agio. A volte accadeva la notte, altre all'improvviso, altre ancora proprio quando mi sembrava di trovarmi particolarmente bene in un posto.
Mi scoprivo e mi scopro ancora ospite. Non indossavo bene gli abiti del figlio, non indosso bene quelli del padre. Non indossavo bene gli abiti dell'amico e neanche quelli del conoscente. Male quelli del lavoratore, male quelli dell'amante. Sono ospite del giorno, quando salgo sulla metropolitana, e ospite della notte, quando capito in un letto e inizio a baciare una donna, con la luna color terra d'ocra quasi del tutto piena.
Per questo ho iniziato a giocare a nascondino, a nascondermi e a farmi trovare. Per farmi trovare e non sapere dove stare. Allontanarmi per provare l'abbandono. Farmi trovare per scoprire di essere cercato. Stare da solo per rendere la solitudine armonia. Farmi trovare per sapere che sarei stato abbandonato.
Ti chiedevo di contare, di arrivare a un numero qualsiasi, finché ne avresti avuto voglia o fino al tuo numero preferito. E io sentivo, ascoltavo e ti aspettavo. Come una forma di preghiera.
"Uno vieni qui
Due non andare via
Tre stammi lontano
Quattro sono i nostri occhi
Cinque dita della mano per sfiorarti nella notte
Sei la morte mia
Sette le meraviglie del mondo"

Ascolti del mese:
La rappresentante di lista, Siamo ospiti
La rappresentante di lista, E la luna bussò

lunedì 16 aprile 2018

Santo Speco


L'età della transizione - XV tappa


Dove sono stato. Quanto tempo è passato. Sono in fuga, sono in fuga, sono in fuga. A forza di essere in fuga mi hano beccato, crocifisso, messo alla gogna, di nuovo crocifisso e dimenticato in un buco. Non ho avuto coscienza e ho perso me stesso dopo che le tue guardie mi hanno trovato, fottuto cardinale. Il mio corpo è diventato il vostro zimbello, anche per questo ho scelto di uscirne. Non so come sia finito qui, forse ero pronto per farlo forse è solo successo. Fatto sta che non mi pesano le botte, gli sputi, le risa, il dolore fisico. Le cicatrici che rimarginano ferite significano anche questo, porta che si chiude sul dolore del passato, superamento, vita che rinasce, memoria che interiorizza e restituisce dignità anche al dolore.
Hanno aperto la porta in tre, indossavano tonache nere. Nei loro sguardi non c’era giudizio, sul mio corpo impresentabile non c’era il loro giudizio. Grotta dei pastori l’hanno chiamata. Dicevano che il nome viene dai pastori che giungevano in ascolto di Benedetto.
Chi è Benedetto.
È un uomo che ha vissuto come te tre anni in grotta per trovare se stesso.
Benedetto è uomo, tu sei Benedetto.
La luce mi acceca ma lentamente realizzo. Una parete che si fa versante, montagne tutto intorno. Ero convinto che dopo la fuga avrei inseguito, chissà perché ora non ne sento il bisogno. Il bisogno. Ora che sono fuori dalla grotta dei pastori, da quel buco, non sento alcun bisogno. Mi chiedo se sarà così anche domani.
Rientro, vedo la grotta di questo Benedetto. Mi dicono che lui ha scelto di starci, a uno come me - che ci è stato buttato e dimenticato anche da se stesso - sembra impossibile. Il risultato però è lo stesso, un uomo nuovo. Dalle mie parti dicevano “per rinascere devi prima morire”.

mercoledì 21 marzo 2018

Di marinai ed esplorazioni


La foglia, staccata da un ramo. Non è autunno, è inverno che vuole farsi primavera ma resta, si protrae e, disteso, permane come un muscolo in torsione per portare a termine uno slancio fisico. Neve, a tratti, vento che scivola dentro ai cappelli e alle sciarpe. La foglia, staccata dal ramo, intraprende un volo, lei che volare non sa. Goffo, fatto di capriole e abbandono alla forza del vento. Ci fu chi volle vederla posata su un fiume quasi ghiacciato, come una lieve barca in cerca di sbocco. In cerca di sole e calore. Ci fu chi la volle nell'aria, perdersi nel vento vorso orizzonti sconosciuti ai più. Ci fu chi la vide a terra, sommersa da neve, consegnata alla natura. Che è transitorietà, impermanenza, mutamento e movimento. Terra che cerca nuova dimora nella terra.
Mi sono staccato. Da molte persone a dire il vero, ma soprattutto da un luogo. Un porto. Feci un lungo viaggio da bambino, con pochi approdi al mondo reale, come succede di frequente a quella età. C'era una terra di mezzo, tra mondo reale e fantasia, un posto dove sinfonie musicali si susseguivano come burrasca e mappe spuntavano da contenitori cilindrici impolverati in ogni angolo. Le pareti erano gialle, in cortina, costellate di reperti dai viaggi più disparati. Il marinaio in capo era mio padre, che aveva proprio l'attitudine di un vecchio lupo di mare al comando sul ponte di una nave, ma quando il mare era in risacca o quando era di ritorno da grandi esplorazioni si fermava al porto e si immergeva nelle mappe.
Una decina d'anni fa ritrovai quel porto, ne feci addirittura un riparo saltuario. Il vecchio pirata iniziava ad ammainare le vele, partiva sempre più di rado e la sua aria sul pontile non era più così imperiosa come mi sembrava da bambino. Però quel porto rimaneva sempre un luogo di pace e di studio, e anche un molo da cui partire per esplorazioni a volte banali a volte più ricercate e complesse. Ero talmente a mio agio lì che a distanza di anni ne feci la mia casa. Probabilmente fu un errore, i porti sono luoghi di transito e non sono adatti alle permanenze, ma in fondo quel posto era mio e in più non lo era stato in passato pur avendo avuto allora un significato importante. Ecco, avevo ereditato un significato e ci avevo aggiunto un senso nuovo da trasmettere a qualcun'altro.
Ora il porto è in decadenza. L'ho abbandonato un mese fa ed è in attesa di un significato nuovo, che forse arriverà e forse no. D'altronde anche i grandi imperi decadono e i luoghi più insignificanti potranno diventare centrali un giorno. Un luogo, in fondo, non scompare mai.
Non so se questa sia una storia di passaggio, da infanzia ad età adulta. Non so se stupirmi se a un certo punto abbia preso coscienza delle partenze e dei ritorni. Soprattutto dei volti che ho incontrato tra una partenza e un ritorno. Ora però sono tutti davanti a me nell'arco di pochi minuti. Tra i tanti volti della vita il mio sguardo è caduto sull'amore, sui volti che l'amore ha assunto durante la mia vita. Su Ilaria, Roberta, Beatrice, Valentina, An Xin e ancora su Ilaria, che ora è qui, davanti a me, con un altro corpo e un'altra lingua. Io scrivo di lei, lei parla al telefono, forse mentre parla scrive di qualcuno che non sono io. Ho davnti più di vent'anni di attrazione e ritrazione. Amore, ci hanno scritto sopra versi, canzoni e racconti. Lo hanno decantato e maledetto. Lo hanno rappresentato e riflettuto. Tra di loro si sono chiesti cosa sia e cosa significhi per ognuno di loro. Ne hanno fatto una religione o un qualcosa da cui rifuggire. Hanno provato a definirlo, a raggiungerne il cuore senza sapere spiegare niente. Io davanti a me avevo solo poche fotografie che ritraevano di per sé momenti insignificanti, ma tanto è stato sufficiente per provare sul mio corpo ancora una volta gli amori del passato, quello presente e aprirmi al futuro. Se solo gli umani si limitassero a vivere senza voler sempre spiegare tutto parlerebbero meno ma saprebbero capirsi più a fondo. Una strada davvero pericolosa, il linguaggio.

Canzoni del mese:
Canzoniere grecanico salentino, Beddha ci dormi
Daniele Coccia, Il cielo di sotto 
Motta, Ed è quasi come essere felice
Negramaro, Dolores, Senza fiato 
Gambles, Safe side
Timber Timbre, Demon host
Agnes Obel, Riverside

lunedì 14 agosto 2017

Sulla natura umana e dell'amore

Un drammatico litigio aveva scavato un solco tra i due amanti da alcuni giorni.
Lei, estremo-orientale (forse un particolare irrilevante ma l'affermazione andrebbe verificata), lo aveva deriso perché ogni volta Lui, sangue mediterraneo, cercava di fare le proprie scelte cercando il bene di chi gli era vicino. Gli aveva seccamente riportato alla mente una serie di episodi più o meno recenti in cui le persone che gli erano intorno, famigliari, amici, avevano agito seguendo un proprio interesse.
Lui non ignorava l'esistenza di sentimenti egoisti nell'essere umano ma rifiutava di riconoscere che fossero proprio questi sentimenti a dominare l'essere umano. Lei affermava che ciò era invece naturale, connaturato alla ragione stessa della natura umana: la sopravvivenza e il superamento della morte attraverso la discendenza. Il problema è che i due erano sposati, Lui cristiano cattolico, Lei non affiliata a una chiesa in particolare ma dotata di una certa spiritualità molto ricettiva verso diversi messaggi religiosi.
Il matrimonio cristiano non è legato a questione d'interesse, è matrimonio d'amore, pensava Lui. Quello orientale... quello orientale... quello orientale? Forse sì, anticamente il matrimonio era una forma di contratto in cui la famiglia di lei si liberava di una bocca non adibita al lavoro nei campi da sfamare, la famiglia di lui guadagnava una dote e uno strumento di procreazione. Persino gli sposi, sconosciuti tra loro, sposandosi ottenevano riconoscimento sociale. Immergiamo tutto questo nel progressismo evoluzionista, materialista e consumista della Cina di oggi e... Santo Cielo, un matrimonio con due significati assai distanti. Agli antipodi.
La questione lo termentò nei giorni successivi, ma poi tutto si appianò, come spesso avviene nei matrimoni, perché oltre allo scontro di un attimo e alle divergenze accumulate negli anni esiste una collaborazione quotidiana che salda il vincolo e porta a ridimensionare gli abissi, metabolizzandoli e dando loro la tonalità di piccole sfumature.
Al di là della crisi matrimoniale qualcosa, però, nella sua testa rimase. Lui, dall'adolescenza, era andato sempre più identificandosi in un principio elementare ispirato da ideali di solidarietà laica. A prescindere dall'esistenza di Dio i valori in cui si riconosceva erano comunque quelli trasmessi dalla visione cristiana. L'amore verso gli altri, giorno dopo giorno, era divenuto il motore della sua esistenza (che destino beffardo lo aveva costretto a scoprire che il suo matrimonio, almeno da parte di Lei, era dettato dall'interesse!) e la realizzazione del bene altrui rappresentava buona parte della sua realizzazione individuale. Eppure dopo quel litigio non riuscì più a essere convinto delle sue credenze ed era tormentato dalle ombre gettate sull'essere umano dalla teoria di Lei. La sua filosofia elementale gli apparì sempre più non solo come un paradosso, ma proprio come una soluzione di comodo. Se la felicità altrui lo rendeva felice, il fine ultimo, forse, non era l'identificazione degli interessi individuali in quelli altrui, ma semplicemente una forma di egoismo moralmente giustificabile, e quindi anche un po' paraculo. Lui aveva sempre inseguito i propri interessi aiutando gli altri?

Mettendo da parte il dilemma del nostro protagonista ecco quello che mi sta succedendo: da un paio di anni le cose nel mio matrimonio funzionano poco e avverto sempre più distanza da mia moglie. Da un paio d'anni cerco rapporti emotivamente coinvolgenti, che pur prevenendo il tradimento mi danno la possibilità di esternare e ricevere quei sentimenti che tanto mi mancano e che per ora non riesco a ritrovare nel mio matrimonio. Nei miei incontri sono stase coinvolte una ragazza brava a far perdere la testa ogni uomo che vuole sedurre, una giovane studentessa con cui lasciare nell'aria atmosfere equivocaboli, una collega di lavoro che avevo conosciuto in gioventù e di cui ero innamorato in gioventù e una vecchia compagna di viaggio. Perché mi sono proposto a queste persone? Volevo dare loro qualcosa o cercavo qualcosa? E loro perché mi hanno risposto? Per darmi qualcosa o perché ho parlato loro nel momento in cui avevano bisogno di qualcuno che parlasse loro? Cos'è l'amore e cosa cerchiamo istitntivamente noi umani?

Canzoni del mese:
Mina e Celentano, Ad un passo da te
Mina, E poi
Mina, Ancora, ancora, ancora...
Mina, L'importante è finire,
Mina, Bugiardo e incosciente
Mina, Io e te da soli

domenica 20 novembre 2016

Gli anni dei terremoti e della rabbia

"Anna... ti amo". Non lo dicevo da tempo. L'ho detto alla persona sbagliata. Non glielo ho neanche detto.
L'ho detto tra me e me, dopo che se n'era andata.
Dovrei riflettere su quante volte è già successo e su quante ancora succederà. Dovrei capire cosa è meglio per me, se continuare ad assecondare la mia vocazione per la discrezione o espormi di tanto in tanto. Dovrei capire se vivo i miei sentimenti per me stesso o per condividerli. Dovrei, ma non ora. Ora voglio restare qui, sospeso sul senso di libertà che l'amore mi dà.
Richiusa la porta, dopo una notte passata in due letti divisi solo da pochi muri. O dopo aver accompagnato i figli (non i nostri) a scuola. Lo sa anche il cielo. Sì, lo sa. Altrimenti non avrebbe mandato giù tutta quella pioggia per impedirmi di arrivare. E deve averlo detto anche alla terra. Altrimenti non avrebbe tremato tutta la notte per staccarmi da lei.
Mi guarderò indietro, frugherò tra le mie scelte e come ho letto su youtube mi chiederò quali di queste scelte sono state fatte per coraggio e quali per paura. Allora saprò se sarò diventato una comparsa nel film di qualcun'altro, io che avrei voluto essere il protagonista del mio film. Anche questo l'ho letto su youtube, d'altronde è l'epoca del citazionismo. E' anche l'epoca dell'assenza di vuoto, delle vite trascorse solo agendo. Questo non l'ho letto su youtube, me lo ha detto lei e lo sto vivendo su di me. Forse è la prima cosa che so davvero di lei.
Vorrei divorare il suo passato e passare ore ad ascoltarla, ascoltare i suoi racconti di vita, riconoscerci i suoi genitori e i suoi nonni. Vorrei vederla bambina, conoscere i suoi pensieri e proiettarla nel futuro, vederla invecchiare. Vorrei prendere tutte quelle parti di lei che deciderà di condividere.
[...]
Così scrivevo tanti, tanti anni fa. Come ora era la stagione dei terremoti. In quei mesi la terra tremò ogni giorno quattro o cinque volte. Tutti avevano paura e dormivano per strada, io no. Io ero convinto che fosse il mio amore la causa di tutto. Povero ingenuo, ero veramente giovane allora. Giovane e inconsapevole. Ero davvero incosciente.

martedì 6 settembre 2016

Tracklist - una storia di incomunicabilità e anche una grande storia d'amore, perché un amore non si giudica dalla sua durata



“Le note dell’ultima traccia sembravano cerchi di fumo rimanenti tra cielo e brace. Lasciavano in giro solo il sospiro esausto dell’aria. Ritrovandosi nella macchina aprì gli occhi e la guardò. Non aveva espressione, forse solo un po’... impaziente. Nel’aria rimase solo il rumore delle cicale, si sentì imbarazzato dall’assenza di reazioni da parte di lei.
«Mi dispiace, caro. Non so, non mi ha lasciato molto. In questo periodo sento altro».
«Amato».
«Cosa?»
«Habib. Significa ‘amato’, ‘caro’, ‘tesoro’ in arabo. È il nome che ho dato a questa raccolta. Dodici pezzi. Ogni canzone è un pezzo di te. Quando ascolto Passione di Neffa rivivo il sogno proibito del tradimento. Con Serenata di Graziella della Bandajorona immaginavo e sognavo mondi lontani. Di saperti prendere, di saperti parlare, di saperti avvicinare. Here not alone di Ishaq mi riporta davanti gli occhi il momento in cui ci siamo trovati... il nostro amore...»
 «Cosa?»
«Con Gnut che reinterpreta Passione, di Bovio, sento la distanza da te dopo la tua partenza. Love me di Joe Victor è il dolore del giorno dopo, che dopo un mese diventa ossessione. L’amore nero di Mannarino è lo sfogo e la rabbia di chi è stato abbandonato senza una parola. Il bel canto è l’incazzatura amorosa urlata e riversata sull’universo intero, La strada di Francesco Forni mi schianta contro il tuo muro, Contratto per Karelias mi disincanta, Sylvia è la condanna alla depressione che segue l’amante abbandonato. Wayfaring stranger è il canto di un morto che per un bel po’ non tornerà tra i vivi. Con Peste e corna del Muro del canto provavo a non prendermi sul serio. E le mie parole di adesso... le mie parole di adesso, la mia decisione di farti sentire questa raccolta mentre ti riaccompagno a casa, dopo sette mesi che non ti ho vista... dopo che ci siamo visti stasera insieme ad altre diciassette persone. Dopo che mi hai rivolto sì e no otto parole tutta la sera. Dopo che ho provato una fitta vedendoti sorridere e toccare il braccio di uno sconosciuto per un minuto abbondante. Beh, tutto questo è l’interiorizzazione di quello che provo per te».
«Ascolta, ultimamente sono stata incasinata con il lavoro, e poi... ho investito molto nella mia relazione con Donald, lo sai. C’è tutta una serie di insoddisfazioni, priorità. Un bacio. È stato solo un bacio, più di un anno fa».
«Sì, solo un bacio. Poi abbiamo preso strade diverse».
[...]"
(to be continued)

Ascolti del mese:
Bright Eyes, A Perfect sonnet
Daniel Johnston, True love will find you in the end
J Ax, Fedez, Vorrei ma non posto
Fabio Rovazzi, Andiamo a comandare

giovedì 19 maggio 2016

Discorsi alla nazione

Ascanio Celestini mi ha colpito in faccia, mi ha urlato contro quello che sono e che cerco di non essere. Tutto quello che cerco di limitare. Le lotte nelle fabbriche si sono imborghesite, i giovani diventano uomini di mondo. Sarà anche un mondo difficile ma quanta gente lo rende ancor più difficile per assenza di coraggio? Siamo in un tempo dove i compagni sono peggio dei capitalisti, perché non solo ragionano allo stesso modo dei capitalisti ma sono anche più stupidi, sentendosi borghesi pur essendo proletari.
Una settimana fa mia suocera è tornata alla carica: mio figlio è troppo timido, ora è ancora troppo piccolo ma bisogna insegnargli a stare nel mondo, è troppo chiuso, rifugge dal contatto con gli altri bambini, non sa difendersi, probabilmente sarebbe meglio che sapesse anche aggredire. Glielo insegneremo, dice lei, piano piano, dovrà impararlo.
Il rock è sparito, nascosto dietro alle indie hypster manie di nicchia. I ministri sono una delle cose che assomiglia di più a quello che ascoltavo a vent'anni, forse, se oggi avessi vent'anni, non sarebbero il mio gruppo preferito ma potrebbero essere quello che sentirei più mio. Nel Bel canto si lasciano andare: “Hanno dovuto bendarmi perché vedessi un po' meglio / Hanno dovuto drogarmi per farmi rimanere sveglio / Hanno dovuto legarmi perché godessi più in fretta / Mi han tolto pure le armi e mi hanno affittato una cuccia / Hanno dovuto pregarmi perché continuassi a bere / Hanno dovuto cullarmi per non farmi vomitare / Hanno dovuto sudare per prendermi le misure / Ora mi vestono loro e io posso tornare a cucire / Ed è come se non avessi mai deciso niente”.
Invece abbiamo deciso. Abbiamo deciso di prenderci l'offerta, di consumare ciò che ci lascia dimenticare ciò che avremmo voluto essere e che non siamo stati per non avere avuto il coraggio di morire in battaglia. Dov'è che inizia l'ordine sociale? Nella necessità di farsi una famiglia? O in quella di comprare casa? Nel consumo di alcol e droga per dimenticare che siamo proprio qui e ci siamo in questo momento?
Non so se esiste qualcosa di peggio della ribellione nei binari consentiti.
Forse solo la rivoluzione incontrollata.

Canzoni del mese:
Ludovico Einaudi, Nuvole bianche
Alessandro Mannarino, Signorina
I Ministri, Il bel canto
Ascanio Celestini, La casa del ladro
Fabrizio de André, La canzone del maggio



venerdì 29 aprile 2016

Ordine & Cigarettes

Baol ha fatto 40 anni, lo immaginavo più vecchio. Ho riaperto le sue pagine trasferendo dati da un pc a un hard disk esterno. Tabacco dei vecchi tempi. Ho come idea che qualcosa mi stia sfuggendo dalle mani. Una vita piena: impegni da tenere in vita nel nome della precarietà o della stabilità, da un lato il lavoro, dall'altro la famiglia. Mi capita sempre più spesso di fermarmi e guardarmi la schiena. Quello che sarei potuto essere e che non sono. Mi rivedo bambino mettendo su un 33 giri dei Vianella e guardo mio figlio giocare. Mi chiedo che proverò quando rivedrò la mia vita da vecchio. Mi chiedo come abbia fatto ad arrivare qui, nel punto in cui sono pur avendo voluto tutt'altro a suo tempo. Penso che non è poi tanto male. Nuoto, nuoto, nuoto negli stereotipi di mezza età e sento che è troppo tardi per deviare, o per rendere eccezionale una vita ordinaria. Mi tengo gli affetti, me li stringo al petto salvo poi perderli ancora. Cado nelle evasioni, non mi sento in colpa. Fumo, ho ricominciato a fumare e ad avere buoni propositi per smettere. Mi riprendo il mio spazio, non so per quanto, non so per chi. Probabilmente per me stesso.

martedì 13 maggio 2014

Elise Didier


Sotto il revolver una striscia che volteggia sotto pelle, inchiostro nero. Ti ha cancellato, Didier, ti ha cancellato come altri nomi prima del tuo. Perché la vita non realizza la felicità, ma crea illusioni e annega nel dolore della morte di vostra figlia. Perché il dolore viene interiorizzato molto diversamente. Perché il dolore richiede tempo, a ognuno il suo, e non solo. Richiede attenzioni, le stesse che vorresti per te. E respinge attenzioni, perché nessuna attenzione può restituire il cadavere di una bambina di sette anni. E ogni parola è ferita di coltello, accusa agra, accusa cattiva. La morte rende egoisti per necessità, la morte crea abbandono e arresto inenarrabile. La scena precedente la passione vi avvolge come ricordo vellutato, la scena successiva non sapete toccarvi. Siete solo essere umani, condannati a morte che non vi separi. Vi promettere eternità nella gioia e nel dolore ma ciò che ieri era normale pronunciare oggi non vale più. Fragili esseri umani, neppure la roccia rimane immota, scavata nei secoli dal vento, siete solo roseau pensant che amano immaginarsi eterni. Avete lottato, avete sperato, avete creduto e ora cantate il bisogno di soccorso e niente può salvarvi, la mano non si tende, la mano non riscalda, la mano affoga il respiro. Ho bisogno di calmanti per acquietare le lacrime di tre giorni e la mia separazione. Mi viene da ringraziarti per la fiducia. Confidenza preziosa che rimbalza e si confonde con la regia. Ma Elise ha un nuovo nome tatuato sotto pelle, Alabama. Anzi due: Alabama. Monroe. Uccelli protesi tra radici bluegrass e futuro. Uccelli che sbattono sulla terranda. Che non riconoscono vetro. Che divengono stelle. Per chi ci crede.

Canzoni del mese:
Andrew Bird, If I needed You (cover)
Natacha Atlas, Gafsa
Joan Baez, Famous Blue Raincoat (cover)
Simona Sciacca, Cu ti lu dissi
Domenico Modugno, Cosa sono le nuvole
Ásgeir, Heimförin

venerdì 25 aprile 2014

Crisi


Crisi. Immaginiamo una crisi, anzi due. Una matrimoniale. L’altra esistenziale. Diamogli due abiti diversi, uno reale e uno fittizio. Attraverso due vissuti agli antipodi. Il primo quotidiano, apatico e fatto di ambientazioni con i piccoli problemi di tutti: sveglia, lavoro, ritorno a casa, famiglia e stanchezza di fine giornata. Immergiamolo in un vuoto comunicativo, cosciente che parola sa essere coltello e provocare lacerazioni. Ancora prima che un cuore spezzato dal dolore immaginiamo una carta lacerata, una separazione. Una distanza. La scelta di non parlare per un pregiudizio. Perché tanto sarebbe inutile. Per il secondo vissuto invece prendiamo il personaggio senza nome di un libro. Probabilmente non ha nome perché pur essendo protagonista nella storia non lo è nella vita. Vive in Colombia e rimane orfano presto. Si ritrova a essere  prima comunista, poi teppista, soldato, asceta, paramilitare, burattinaio, in combutta con il narcotraffico e la politica corrotta e infine esule. Non c’è niente di strano in questo continuo cambiare, anzi resta sempre se stesso e non si avverte nessun paradosso. Cade, si rialza e ricade. Infine, stanco, con gli occhi pesti e il sangue in bocca, sta per scegliere la morte alle porte del 2000 in un appartamento di Madrid. Ma non muore. E rimane lì, sospeso nel vuoto di un nuovo secolo che è il vuoto di un paese. 

Se la prima crisi avesse delle immagini sceglierei queste, bellissime, dirette da Paola Rotasso:



Se la seconda crisi avesse delle parole sceglierei queste, articolate da Sergio Álvarez:

Inizio a pensare che i comandanti abbiano ragione, tu sei ancora comunista. Non capisci, gli dissi. Sì che capisco e so bene come si chiama quello che hai. Come si chiama? Vigliaccheria. Può essere. E sai cos’è peggio? Cosa? E’ per questo che sei nella merda fino al collo, per questo non hai una vita, né una famiglia né soldi. Cioè? Sei diventato vecchio e non hai ancora capito come funziona questo paese. E come funziona?, chiesi. Bisogna uccidere, fratello, in questo paese chi non ha ammazzato o non ha ordinaro di ammazzare non va avanti. Lo guardai spaventato. Credimi, fratello, qui è la morte che comanda e chi non ammazza né ordina di ammazzare non è nessuno, non vale niente.


giovedì 6 marzo 2014

Tivoli

L'età della transizione - XIII tappa 
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 .
La veste rossa appassisce al fianco del mio corpo angariato dalla gotta. Riesco a discendere le gradinate della loggia con difficoltà e capisco di aver consumato il mio tempo dietro alle passioni e alla bellezza, perdendo di vista la natura delle cose che avevo sotto gli occhi, lì scolpita sul crocefisso appeso al mio collo. Mi sono riempito di orpelli e ho inseguito le cupole della cattedrale delle cattedrali, la dimora di Pietro. Sconfitto trovai rifugio nelle arti e nell’antichità. Ho curato la mia carne con la carne, io Simon Mago in un mondo di mercanti di spirito, e ho alleviato il dolore nelle pitture e nei giardini, nelle feste, nelle alte frequentazioni e soprattutto nell’acqua. Nella genialità dell’acqua protesa verso l’alto prima di riscoprirsi attaccata alla terra, scorrevole su terra. Sono a te Rometta, che mi appari come la grazia di una carezza, arranco nella frescura estiva del viale delle cento fontane fino all’abbraccio caldo dell’Ovato. Sei tu Nettuno, il Dio dell’umana caduta, la suprema ascesa infranta: arte e uomo, bellezza e morte nella mano protesa verso Nefeli e nel tuono di Zeus in furia. Ora la luce è spenta e mi abbandono alla Cristianità, ma prima di inerpicare un corpo che più non conosce salita mi fermo davanti a te, drago che donai a Gregorio Papa. Guardo te e cado. Cado. Cado, mentre la Roma dei poveracci dorme ancora. Finché non riscopriranno tutto questo, ma non so che farmene della Gloria eterna.

venerdì 21 febbraio 2014

Tradire d’amore


Non sono mai riuscito a condannare il tradimento, probabilmente perché di base lo considero umano. Anche perché sono convinto che non rappresenti un inganno della fiducia che un uomo o una donna ripongono nel partner. Nella mia vita, come quasi tutti, ho tradito e sono stato tradito. La mia natura è essenzialmente gelosa e l’idea che la persona che “frequento” possa “frequentare” altre persone mi corrode il respiro. Tendenzialmente preferisco non pensarci, essendo anche sentimentalmente abbastanza insicuro e non essendo neppure certo di saper esercitare un fascino irresistibile, anzi.
Proprio per gli effetti del mio logorio emotivo di gelosia ho cominciato a pensare giorno dopo giorno che il problema più che dal tradimento sia dato dalla gelosia. Sono arrivato a prendere in prestito teorie da equilibrista pur di difendere la compatibilità tra tradimento e lealtà nei confronti del partner.
Di base ho provato a convincermi che il tradimento è tale già a partire dallo spirito, dalle prime fasi di innamoramento, per quanto il senso del possesso venga ferito soprattutto quando la passione traditrice viene consumata fisicamente dal primo all’ultimo respiro e all’ultima goccia di sudore discesa su labbra altrui.
Che desideri o che faccia l’amore, che m’innamori cinque minuti per strada o che abbia una relazione di vent’anni con un’altra, che sogni o che scopi... Concettualmente cambia poco e tutto sommato non sono nessuno per imporre il desiderio d’amore, passionale o sessuale al mio partner. Non sono nessuno per monopolizzare tutto questo, anche perché sarebbe una realtà irrealizzabile, un bel castello in aria che potrei illudermi di aver costruito ma che cade senza neppure il bisogno di soffiare.
Il segreto della serenità è invece nella convinzione dei propri mezzi e del proprio ruolo all’interno della coppia. Questo sì, è insostituibile e basta a rendere unica una coppia, al di là di ogni desiderio fisico e di enfatuazione sentimentale. Al di là di ogni morale sulla fedeltà e a ogni istinto di possesso, che poi politicamente sarebbe pure una manifestazione borghese. La vita però è altra. Se l’uomo tende a tradire è vero pure che tende a non sopportare il tradimento (è per questo che il comunismo non esiste?).
Molti dei tradimenti avvengono –o vengono immaginati- quando dentro la coppia uno dei due ha particolarmente bisogno dell’altro. Chiede supporto, sopportazione, pazienza, annullamento del sé, un eccesso di attenzioni per superare momenti difficili. In quel momento scatta l’insofferenza, la necessità di ritrovare il proprio ego da accudire e tutelare. Si crea squilibrio nel moto dare/ricevere. Di chi è la colpa? Di chi ha chiesto di certo no, poveraccio stava soffrendo come un cane e c’ha pure le corna. La colpa è di chi non ha saputo dare tutto per amore, in un momento di dolore, fragilità e necessità del partner. Ma annullarsi d’amore non è amore, perché amore è reciprocità. E se reciprocità non c’è l’uomo non tende alla distruzione ma alla sopravvivenza e va a pescare un nuovo equilibrio dare/ricevere. Che sia nella sua immaginazione, per strada o in un letto. Il dolore si cura in due e non mettendolo sulle spalle dell’altro. Egoismo è eccesso di concentrazione sull’io, ma non l’esistenza di un io.
Detto questo, esistono un sacco di canzoni perfette per tradire. In questi giorni, per me questa è la migliore: 

Dammi passione, anche se il mondo non ci vuole bene
anche se siamo stretti da catene e carne da crocifissione

Presto noi sogneremo distesi al sole di mille primavere
senza il ricordo di questa prigione
di un tempo lontano ormai 
 
Abbracciami e non lasciarmi qui lontano da te
Abbracciami e fammi illudere
Che importa se questo è il momento in cui tutto comincia  e finisce
giuriamo per sempre però
Siamo in un soffio di vento che già se ne va

C’erano le parole c’erano stelle che ho smesso di contare
perso nei giorni senza una ragione nei viaggi senza ritornare

Ora tu non spiegare, tanto lo sento dove vuoi il dolore
quando la notte griderà il mio nome
nessuno ricorderà

Abbracciami e non lasciarmi qui lontano da te
Abbracciami e fammi illudere
Che importa se questo è il momento in cui tutto comincia  e finisce
giuriamo per sempre però
Siamo in un soffio di vento che già se ne va

Neffa, Passione


Canzone del mese:
Haris Alexiou, Loreena McKennit, Tango to Evora

lunedì 17 febbraio 2014

Ritratto di città – Atac #3


Di passaggio in transito nella stazione metro di Termini (stazione centrale di Roma), in data venerdì 14 febbraio ho notato cestini della spazzatura stracolmi, traboccanti e ampiamente traboccati in alcuni casi, con cumuli di rifiuti a terra che urtavano passeggeri, passanti, viaggiatori e turisti. Sceso alla fermata di casa mi rendo conto che i cestini sono traboccanti anche qui. Motivazione: sciopero degli addetti alla pulizia. Citando dal corriere della sera online, l’Atac sostiene di essere impegnata nella risoluzione del problema e nel frattempo invita gli utenti «a non abbandonare rifiuti come carta o bottiglie negli ambienti di stazione o a bordo dei convogli e a utilizzare cestini e cassonetti collocati nelle aree stradali adiacenti alle stazioni». La Roma ombelico del mondo è una cità sporca, molto sporca, come notano molti ma molti stranieri e molti ma molti studenti e lavoratori fuori sede. Oltre agli innumerevoli scioperi proclamati ogni anno dalle organizzazioni sindacali, oltre all’ignobile servizio di trasporti urbani gestitio da Trenitalia (le brillanti FR, diversa gestione, identici utenti), mi torna in mente che lo scorso dicembre aveva scioperato il personale di stazione contro gli straordinari non pagati. La brillante forma di protesta adottata è stato il blocco di ascensori e di scale mobili a sorpresa per diversi giorni, diverse stazioni e in diversi momenti della giornata. Geniali. La mia stazione ha tre rampe di scale mobili che scenderanno in profondità almeno per trenta metri. Immagino (anzi no, l'ho vista di persona) la gioia di sessantenni con valigia di ritorno da un viaggio, disabili, anziani, cardiopatici... D’accordo, a Roma tutte queste categorie sono già abituate, visto che il servizio di manutenzione delle stazioni metro non brilla per puntualità e che gran parte delle fermate non sono accessibili ai disabili. D'accordo, siamo romani e al lamento tutto è consentito. Dovremmo pensare a forme di mobilitazione e di sciopero anche noi utenti visto il prezzo degli abbonamenti. In realtà sono sicuro che ci avremmo già pensato se ogni giorno non avessimo quest'abitudine di andare a lavorare senza diritti sul lavoro.

sabato 8 febbraio 2014

Ritratto di città – Atac #2


Siamo di ritorno e siamo stanchi. Io imbraccio il passeggino, lei il bambino e risaliamo le scale della stazione metro. Sento qualcosa che sta per sfilare via, mi giro di scatto e un ragazzo mi è poco dietro con l’aria distratta. Tira fuori il cellulare e penso di essermi sbagliato. Comunque il portafogli è in tasca, tanto mi basta. Lo guardo ancora, lui sembra non farci caso e tira dritto con un compare basco in testa sulla pelata e barba lunga. Appena richiudiamo dietro la porta lei capisce che le hanno fottuto la camera digitale dalla borsa. Ripenso ai due tipi dall’aria distratta e vestiti neanche tanto male. Quello con il basco aveva urtato di passaggio anche una signora straniera sui sessanta. Riscendo. Cerco in un paio di fermate bus affollate, ritorno nel mondo sotterraneo, che mi sembra sempre meno normale. Scendo tre rampe di scale mobili, le risalgo nell’altra direzione. Giungo in cima. Mi si gela il sangue. Sono loro, parlottano con altri tre tipi e d’improvviso non mi sembrano più così raccomandabili. Non reggo, mi cago in mano e decido di tirare dritto. Ma li fisso. Li fisso e assumo un’aria di disprezzo, che almeno sappiano che ho capito. Loro non hanno la mia stessa paura e mi chiedono che cazzo voglio e che cazzo guardo. Gli rispondo dicendo che sono loro ad aver fottuto la camera a mia moglie. Ma che vuoi, ripetono, c’è qualche problema? Continuo a dirgli ma che cazzo andate a fottere la gente che fatica a tirare avanti un giorno in più e che per permettersi di comprare una camera digitale di seconda mano deve fare mille sacrifici. Uno mi fa ma cosa vuoi, non alzare la voce, dimmi che vuoi e siamo a posto. Io ormai vado in automatico, rivoglio la digitale. Uno dei cinque allora mi chiede se voglio solo quello. Mi dice di non fare casino e di seguirli. Continuo a cagarmi sotto, sono praticamente circondato. Ma lo seguo. Di nuovo giù per le scale mobili e di nuovo su da dove ero venuto. Quando apro bocca mi fanno di stare zitto. La rivuoi o no la camera, e allora vieni con noi. Io ricalco sul fatto che non ho un cazzo da perdere, camera a parte e che se rubassero a chi ha cose da perdere non avrei nessun problema. Ma io a quello che compro un valore lo do. Quando si spazientiscono di nuovo decido di stringere amicizia. “Di dove siete”, chiedo. “Io Bulgaria, lui Albania, lui Turchia”. “E che tipo di posti sono”, replico. Il turco è il più tranquillo, mi fa capire che ognuno ha il suo ruolo. C’è chi ruba e chi viene derubato. Siamo in cima all’ultima scala mobile, sono deciso a bloccarmi e a non uscire con loro. Decido di non fidarmi e di restare in orbita videocamera di sorveglianza. Ma non faccio in tempo. Appena su uno dei cinque mi mette in mano la fotocamera come se niente fosse. Loro camminano verso l’uscita, io con altrettanta naturalezza saluto il turco e faccio dietro front per ridiscendere ancora, trofeo in mano. Sano e salvo. Incredulo. E ora che è passata penso. Penso a due tipi di persone. Il primo che tende all’accumulo di beni di consumo che è convinto di amare e che prima o poi lascia in un angolo, quando la passione si consuma. Queste persone pensano a cosa gli piace e cosa no, cosa vogliono dalla vita, si chiedono se desiderano, ambiscono o appagano semplicemente delle inclinazioni e degli interessi. Coltivano, costruiscono città e industrie per produrre e creare benessere. Sfruttano la natura e la rendono altro. Si inventano una società di servizi e mercati. Pensano al senso, creano l’idea del benessere e ne sono parte, chi più chi meno. Anche quando ci sono milioni di persone con più carta moneta. L’atro tipo di umanità è stata conquistata dalle città. Non produce e non può nemmeno muoversi liberamente perché deve riconoscere di essere residente in uno stato. Deve essere cittadina di una nazione. Probabilmente una volta queste persone erano nomadi dediti all’allevamento, alle praterie e alle razzie. Gente che terrorizzava i civili, con il rombo dei cavalli al galoppo e delle frecce. Ma anche con la libertà. La libertà di chi non accumula e di chi usa ed esaurisce. Di chi il giorno dopo non ha più nulla di ciò che ha rubato e lotta di nuovo per un giorno in più. Mi chiedo che libertà sia quella di cui si sono forgiati i cittadini liberali nelle loro rivoluzioni. Mi chiedo cosa pensa l’altra umanità della libertà dei civili. E poi penso a cos’è che è più normale. Se il mondo di sopra o quello di sotto.